Quando il talento si unisce alla determinazione, il successo non può che essere assicurato e pienamente meritato. Questo è il caso di Alessandra Gonnella, giovane regista e sceneggiatrice italiana che ha saputo distinguersi nel panorama cinematografico grazie al suo lavoro brillante, ampiamente riconosciuto anche dalla critica.
La sua forte personalità emerge già in adolescenza, quando la routine scolastica le appare distante dalle sue fantasie e aspirazioni. «Faticavo a trovare modelli femminili vicini a me che rappresentassero ciò che volevo diventare» ha raccontato, un’ammissione che ha ulteriormente alimentato la sua determinazione nella ricerca di donne forti e intraprendenti.
Il primo passo nel mondo della regia avviene durante gli anni del liceo: a soli 17 anni realizza il suo primo cortometraggio su Eleonora Duse. È in quel momento che prende consapevolezza della sua vocazione per la narrazione di storie, un mezzo per condividere con il mondo la sua visione. Questo la porta a trasferirsi in Inghilterra, dove studia cinema e regia presso la Met Film School di Londra e la National Film and Television School. Gli anni di formazione sono intensi, fatti di lezioni, autoproduzioni e collaborazioni che le permettono di padroneggiare un’arte tanto affascinante quanto complessa.
Nel 2019 Alessandra Gonnella realizza A Cup of Coffee with Marilyn, un cortometraggio incentrato su una giovane Oriana Fallaci, interpretata da Miriam Leone. L’opera riceve il plauso della critica e si aggiudica il Nastro d’Argento nel 2020. Il successo del progetto spinge Alessandra a intraprendere un nuovo ambizioso lavoro: Miss Fallaci Takes America. Dopo la produzione, la serie si aggiudica il premio come Best Drama Pitch al MIA Market del 2020.
Oggi il desiderio di raccontare la straordinaria figura di Oriana Fallaci prende forma concreta con Miss Fallaci, la prima serie televisiva italiana prodotta da Paramount+. Il debutto è fissato per martedì 18 febbraio in prima serata su Rai 1 (successivamente anche su RaiPlay) e ripercorrerà l’inizio della carriera di Oriana come reporter per L’Europeo. Alessandra Gonnella firma l’idea della serie, la regia e la co-scrittura del sesto episodio.
Non resta che attendere il debutto per scoprire il ritratto di Oriana Fallaci, una professionista straordinaria che ha saputo affermarsi e primeggiare in un mondo dominato dagli uomini.

«La quotidianità scolastica era spesso in contrasto con le mie fantasie e aspirazioni. Faticavo in alcune materie e a trovare modelli femminili vicini a me che rappresentassero ciò che volevo diventare»
Sei originaria della città di Treviso. Si dice che i primi anni di vita segnino il nostro modo di vedere il mondo, ti chiederei quindi come amava trascorrere le sue giornate la te bambina? Che ricordi hai di quel periodo?
Guardando indietro, la mia infanzia e adolescenza in provincia veneta sembrano quasi appartenere ad un’altra vita. La quotidianità scolastica era spesso in contrasto con le mie fantasie e aspirazioni. Faticavo in alcune materie e a trovare modelli femminili vicini a me che rappresentassero ciò che volevo diventare. Trovavo tutto molto piatto. Alle elementari, mia zia mi insegnò ad usare il computer, e poi internet, e così scrivevo e studiavo ciò che mi appassionava per conto mio, tipo l’inglese e la cultura anglosassone. Al liceo non stavo mai ferma: scrivevo sul giornale scolastico, organizzavo spettacoli, concerti, ho creato una band rock femminile, laboratori auto gestiti di cinema e a 17 anni, infatti, ho realizzato il mio primo corto. Avevo già una personalità dirompente, che mi creava dei problemi con gli adulti, ma ero anche molto legata alle amicizie. Con la mia migliore amica, ci si trovava al semaforo a metà strada e poi si tornava a casa insieme, ogni giorno, e ci si raccontava tutto. Quegli stessi amici oggi mi dicono «Non avevamo dubbi che ce l’avresti fatta».
La tua vita è legata anche alla città di Londra. Quando hai visitato per la prima volta questa città, e cosa ti ha affascinato al punto di scegliere di tornare? Ripensando poi a quel viaggio, quali sono le immagini impressi nella tua mente?
Con Londra è stato amore a prima vista, e credo che i veri amori a prima vista non siano incontri, ma riconoscimenti. Per spiegarmi meglio, racconto sempre questo episodio: avevo 11 anni, ero in vacanza studio; il college era a Woking, una cittadina più piccola, e a Londra si andava solo nel weekend. Durante una passeggiata per il centro, tra musei e monumenti, ricordo vividamente che, dopo appena un’ora dal mio arrivo, ero già io ad aiutare l’animatrice del gruppo a orientarsi e a decidere dove andare. È stato come se tutto si allineasse: la mia passione per la lingua inglese, per la letteratura, la poesia, la musica e il punk che avevo imparato ad amare sui libri si materializzava davanti a me. Ho deciso che sarebbe diventata la mia casa.
«Ogni giorno combatto con quella vocina interiore che cerca di convincermi che è tutto inutile […]. Ma per fortuna c’è anche un’altra voce, quella che mi spinge a dare il massimo».
Quando hai realizzato di voler entrare nel mondo del cinema? Hai mai avuto un momento di incertezza circa la professione da intraprendere, oppure hai sempre saputo di voler diventare una regista? Perché la scelta di formarti in Inghilterra e quali ritieni siano state le esperienze più formative di quegli anni?
Fin da piccola, ho esplorato varie discipline dello spettacolo – canto, danza, recitazione – ma la vera soddisfazione arrivava dal costruire una storia e guidare gli altri verso ciò che immaginavo. A 17 anni ho girato il mio primo corto su Eleonora Duse ad Asolo, pur non sapendo nulla di linguaggio cinematografico. Ho iniziato a studiare cinema a Londra, ma anche lì è stata una sfida continua. Alla scuola di cinema ci dicevano spesso: “Solo uno su un milione ce la fa.” Una frase che mi terrorizzava, sapendo anche quanto i miei genitori si stessero sacrificando per questa scelta rischiosa. Ogni giorno combatto con quella vocina interiore che cerca di convincermi che è tutto inutile, che non sarò mai quell’uno su un milione. Ma per fortuna c’è anche un’altra voce, quella che mi spinge a dare il massimo, a fare tutto ciò che è in mio potere per diventare proprio quell’uno su un milione.

«Oriana Fallaci è stata una di quelle che ha lasciato un segno profondo. Il modo in cui ha raccontato il suo Viaggio intorno alla Donna è stato per me folgorante»
Hai scoperto la figura di Oriana Fallaci al liceo, leggendo Il Sesso Inutile. Come una personalità forte come quella di Oriana è riuscita a fare breccia nel tuo cuore di adolescente? Hai rivisto in lei qualcosa a cui volevi aspirare? Nella tua vita, ci sono state e ci sono delle figure femminili che hanno saputo darti esempi di emancipazione?
Non scherzo quando cito anche personaggi fittizi come Xena la principessa guerriera e Buffy L’ammazzavampiri. Passavo ore davanti allo schermo e dunque la mia mente veniva plasmata da questo modello di donna guerriera, che allo stesso tempo proteggeva i deboli. Parlando di personaggi reali, mi ricordo che Saffo fu molto impattante per me, le prime band punk femminili tipo The Runaways, Virginia Woolf, Jane Austen. Oriana Fallaci è stata una di quelle che ha lasciato un segno profondo. Il modo in cui ha raccontato il suo Viaggio intorno alla Donna è stato per me folgorante, non solo per ciò che diceva, ma per come lo faceva: con acume, ironia, sarcasmo, brutalità, e al tempo stesso trasferendo molto di sé nei soggetti che osservava e narrava. Ad esempio, quando in Pakistan descriveva la brutalità dei matrimoni combinati per ragazze giovanissime, Oriana inseriva una riflessione sull’amore, chiedendosi se il modello occidentale basato sull’innamoramento spontaneo fosse davvero migliore.
Erano pensieri che parlavano anche di lei, dei suoi stessi dilemmi esistenziali, di una donna innamorata spesso degli uomini sbagliati. Da quel momento, ho studiato a fondo la sua vita e la sua scrittura. Penso sia l’unica autrice capace di commuovermi dopo poche frasi: sento il suo dolore come se fosse il mio, come se quelle parole le avessi scritte io stessa. È questa forte connessione che mi ha spinta a dedicare gli ultimi sei anni della mia vita a raccontarla e a costruire tutto ciò che è stato necessario per portare la sua storia al pubblico.

«Insieme abbiamo approfondito Oriana: parlato di lei, guardato i suoi video, letto i suoi libri, e riflettuto tanto, sia sulle nostre vite che sulla sua».
Nel 2019 hai realizzato a Londra il cortometraggio A cup of coffee with Marilyn, storia della mancata intervista alla celebre attrice americana da parte della Fallaci. Quale ricordo ti lega a questo progetto? C’è forse qualche aneddoto legato alle riprese che ti piacerebbe raccontarci oppure qualche scena più complessa da registrare rispetto ad altre?
Il making of di A Cup Of Coffee With Marilyn potrebbe riempire un libro, ma mi limito a ringraziare tutti coloro che hanno creduto in me. A partire da Edoardo Perazzi, nipote di Oriana, e il produttore Diego Loreggian, Miriam Leone e Francesca Michielin, crew e cast. Tanti mi hanno dato tanto, ad esempio Giratempo Vintage, negozio di Firenze, che mi ha inviato 32 chili di vestiti pregiati vintage, o Leonardo Manetti, che ha spedito del Chianti per una scena. Un ricordo emblematico riguarda un signore di Londra che gestisce un’azienda di noleggio veicoli di scena per il cinema. Era impegnatissimo, stava fornendo decine di mezzi per un grande film hollywoodiano girato in Europa. Non l’ho mai incontrato di persona, ci siamo sentiti solo via telefono e e-mail. Gli spiegai che mi serviva un taxi newyorchese d’epoca per una scena di traffico a New York, ma non avevo né budget né mezzi. Stavo disperatamente valutando con amici della post-produzione la soluzione più economica. Durante una telefonata, mentre cercavo di convincerlo con uno dei miei monologhi, mi interruppe: «Darling, io ti voglio aiutare. Dalla tua voce sento una passione enorme. Dimmi solo dove e quando vuoi la macchina, e io te la faccio avere. Non voglio niente». E così fece: ci mandò un taxi giallo perfetto, con tanto di chauffeur che rimase con noi tutto il giorno. Alla fine, abbiamo girato quella scena nel parcheggio di casa della direttrice della fotografia, usando un green screen. Un piccolo miracolo che ancora mi fa sorridere.
Per il ruolo di Oriana hai scelto Miriam Leone come attrice protagonista. Quando vi siete incontrate per la prima volta e quando hai capito che fosse l’attrice giusta per il tuo progetto? Come avete lavorato per restituire al pubblico un ritratto il più possibile veritiero della giornalista?
Con Miriam è stato amore a prima vista, o meglio, un “riconoscimento,” come piace dire a me. Devo molto a Diego Loreggian, il produttore, e agli agenti di Upgrade Artist per aver creato il ponte tra noi — un gesto tutt’altro che scontato. Quando ci incontrammo per pranzo a Roma, tutto fu subito chiaro: Miriam era già determinata a venire a Londra per immergersi nella parte, e così fece. Da lei ho imparato tanto, a partire da abitudini semplici come bere tè verde e mangiare avocado. Ma soprattutto, è stata un’esperienza unica, quasi un parallelo con le storie di Oriana e le sue interviste alle star: osservare da vicino la routine di un’attrice famosa, il suo entourage, e il modo in cui la gente la fermava per strada per foto e autografi.
Distinguere la persona dal personaggio è stato illuminante, una tematica che mi ha sempre affascinato e che, con Miriam, ho vissuto per la prima volta in prima persona. Ci siamo divertite molto. Insieme abbiamo approfondito Oriana: parlato di lei, guardato i suoi video, letto i suoi libri, e riflettuto tanto, sia sulle nostre vite che sulla sua. Questo processo è per me la dimostrazione di quanto sia fondamentale che le donne raccontino altre donne. La connessione e la proiezione sono immediate, e da lì nasce l’espressione più autentica.

«[…] sembra che una donna, quanti più obiettivi raggiunga e quanto più dimostri la sua indipendenza, finisca per vedere diminuire il proprio “valore” agli occhi del mondo».
Cosa aspettarci da Miss Fallaci in uscita prossimamente su Paramount+? Quale arco temperale coprirà la serie e perché hai deciso di concentrarti proprio su questo periodo?
In Miss Fallaci raccontiamo la giovinezza di Oriana, tra la metà e la fine degli anni ’50, quando lavorava come reporter per L’Europeo, una rivista straordinaria di politica e attualità. Ho persino acquistato numerose copie originali su eBay per immergermi in quel mondo. All’epoca, Oriana era una delle poche donne in una redazione dominata dagli uomini, incaricata di occuparsi di cinema e attualità, mentre in lei cresceva già l’ambizione di raccontare la politica e di cambiare il mondo con la sua penna, un’eredità del suo passato da staffetta partigiana. Pur affrontando il tema delle celebrità con riluttanza, Oriana era determinata a dimostrare la sua professionalità e il suo talento.
Hai scelto di raccontare Oriana Fallaci nella sua veste più nota, ossia quella di donna forte e indipendente, ma anche di mostrare il suo lato più emotivo e fragile davanti alle relazioni amorose. Quali sono le donne che ti piace raccontare e quali loro caratteristiche colpiscono la tua attenzione?
La narrazione si intreccia con la sua vita personale, come il primo grande amore con Alfredo Pieroni, un giornalista meno famoso di lei, di cui si innamora perdutamente. E, come è accaduto in tutte le sue storie d’amore, anche questa finisce in modo doloroso, quasi tragico. Quando mi sono chiesta quale aspetto di Oriana raccontare in una serie, la risposta è stata chiara: mostrare cosa c’è dietro il successo. Svelare il “dietro le quinte” di quegli articoli che magari si leggono distrattamente dal parrucchiere o in poltrona. Raccontare il “making of” di una grande giornalista, immersa in un ambiente ostile fatto di soprusi, antipatie, sotterfugi e sacrifici, specialmente per una donna.
E poi c’è questa idea, sempreverde e profondamente radicata, che un uomo guadagni valore agli occhi degli altri quanto più si espande professionalmente e si afferma nella società. Al contrario, sembra che una donna, quanti più obiettivi raggiunga e quanto più dimostri la sua indipendenza, finisca per vedere diminuire il proprio “valore” agli occhi del mondo. È un’idea che ha sempre accompagnato Oriana, accompagna me e, credo, molte altre donne come noi. Donne che si trovano a chiedersi perché essere competenti, capaci e ambiziose sembri rendere così difficile essere amate. Come se la forza e l’indipendenza spaventassero o intimidissero. Una contraddizione che continua a far riflettere e, a volte, ferisce profondamente.

«[…] vorrei continuare a dedicarmi alla serialità, ed esordire con la mia commedia romantica mezza inglese mezza italiana».
Terminata questa serie, hai già avuto occasione di pensare al futuro lavorando a qualche nuovo progetto? Se si, vorresti che fosse girato in Italia o all’estero? Hai riscontrato delle differenze di metodo a seconda che il set fosse Italiano piuttosto che straniero?
Mi divido tra UK e Italia, due mondi molto diversi, a livello di concezione di vita e lavoro. Anche produttivamente, sono due sistemi diversi, e la cosa a volte spaventa perché sembra così difficile trovare un punto d’incontro. Alla fine, mi dico che il punto di incontro sono io, quindi mi do da fare per trovare collaborazioni che onorino questa forma mentis contaminata da entrambe le parti. In particolare, vorrei continuare a dedicarmi alla serialità, ed esordire con la mia commedia romantica mezza inglese mezza italiana. Ho diversi progetti in cantiere, ho una production company a Londra che si chiama Nervosa Pictures, faccio anche la stand up comedian e mi esibisco a Londra. Non sto mai ferma e voglio che le persone continuino a cercarmi per nuovi progetti che ancora non conosco.

«È stato emozionante vedere come ciascuno la interpretasse a modo suo, trovando in lei qualcosa di unico, personale, ma anche universale».
Quale pensi sia stato il più grande contributo e insegnamento lasciato da Oriana, e quale, invece, il più grande pregiudizio che ha accompagnato la sua figura di donna e professionista? Dalla sua morte, ritieni che siano stati fatti dei progressi per aiutare le donne ad emanciparsi e rendersi libere?
Oriana dà tantissimo a chi la legge. Me ne sono resa conto durante la lavorazione della serie: tanti collaboratori, nei momenti di pausa, mi raccontavano cosa significasse per loro un passaggio, un’intervista, una riflessione di Oriana. È stato emozionante vedere come ciascuno la interpretasse a modo suo, trovando in lei qualcosa di unico, personale, ma anche universale. Questo è il potere straordinario di chi riesce a parlare a tante teste e tanti cuori, senza distinzioni di età, sesso o origine. Ed era un aspetto di cui Oriana andava orgogliosa: raggiungere tutti.
Diceva che avrebbe sempre scritto con l’intento di farsi capire da sua madre, che non aveva avuto la possibilità di continuare a studiare. Per me, personalmente, Oriana è soprattutto fonte di ispirazione per la sua forza. Il coraggio di affrontare le situazioni a viso aperto, di rischiare tutto per un buon pezzo, di alternare parole spietate e sdolcinate senza temere il giudizio altrui. E poi la sua capacità di prendere decisioni nette, come quando decidi di chiudere con qualcuno e non ti volti più indietro, proprio come un’eroina romantica. Io mi vedo molto in questo, anche se so che essere così ha un prezzo, spesso alto.