“Recitare, scrivere, sognare”. Così potremmo riassumere l’esperienza artistica di Fabius de Vivo, giovane attore classe 1998, da sempre innamorato di musica e cinema. Intrapreso un primo percorso di formazione presso il Teatro dei Limoni di Foggia, Fabius si avvicina al metodo Stanislavskij senza però sapere che, di lì a poco, la carriera da attore si sarebbe dimostrata la via giusta per lui. Giorno dopo giorno, il giovane si accorge di come raccontare storie attraverso la propria arte ed emozionare il pubblico sia una vera e propria vocazione; il suo entusiasmo lo porta ad abbracciare la recitazione in tutto e per tutto con una visione cosmopolita e creativa.
Nel 2021 Fabius esordisce nel ruolo di protagonista: si cala nei panni di Antonio in La Grande Guerra del Salento, film girato proprio nella sua terra d’origine, la Puglia, diretto da Marco Pollini. A seguire, il giovane si interfaccia con il panorama internazionale, prendendo parte alla pellicola The Return al fianco di Juliette Binoche e Ralph Fiennes. Qui l’arte di Fabius raggiunge l’apice della sua espressione, lavorare in un contesto simile «è stata un’esperienza immensa, una grande palestra che mi ha fatto crescere tanto» afferma l’attore.
Per chiudere in bellezza, Fabius si è recentemente cimentato in un progetto tanto profondo quanto ambizioso; uno short film volto a portare in scena una riflessione sulla nostra percezione del tempo e su come le aspettative sociali spesso influenzino la libertà individuale. Presentato in anteprima durante la 77esima edizione del Festival di Cannes, Free Spirits è la prima opera di Fabius in veste di sceneggiatore, regista e interprete. Un lavoro senza dubbio impegnativo e complesso che, tuttavia, si rivela per Fabius il suo più grande motivo di orgoglio.

«Mi sono reso conto di quanto fosse bello avere il privilegio di raccontare storie attraverso la propria arte»
La tua formazione come attore è cominciata presto. Quando hai capito che questa sarebbe stata la tua professione?
Il cinema mi ha sempre affascinato, ma c’è stato un film in particolare, di Godard, che mi ha fatto vibrare l’anima: À bout de souffle. Non riuscivo a staccare gli occhi dallo schermo mentre osservavo l’immensità di Jean Paul Belmondo e Jean Seberg. In quel momento mi sono davvero reso conto di quanto fosse bello avere il privilegio di raccontare storie attraverso la propria arte e ho cominciato a sognare di arrivare io stesso, un giorno, a recitare ed emozionare.
Sono cresciuto in un piccolo paese della provincia di Foggia, dove mi sono avvicinato allo studio del metodo Stanislavskij a cui mi sono appassionato… ma il pensiero di fare l’attore sembrava un’idea quasi eufemistica.
La cosa per cui più mi sento grato è il mio risveglio spirituale, che è avvenuto prestissimo. Mi ha permesso di eliminare strati e avvicinarmi sempre di più alla mia essenza, quella che mi urlava di andare avanti, oltre i giudizi delle persone, per seguire la mia strada. La via che ad oggi ho compreso essere la scelta migliore per me.
Raccontami del tuo ruolo in The Return, accanto a Juliette Binoche e Ralph Fiennes. Come è nata questa opportunità e come è stato lavorare su un set internazionale?
È stata un’esperienza immensa per cui devo ringraziare il regista Uberto Pasolini e la casting director Barbara Melega, che mi ha scelto per questo progetto. Ho sostenuto diversi provini, ma ne è valsa la pena perché lavorare per venti giorni sul set al fianco di Juliette Binoche e Ralph Fiennes è stata un’occasione gigantesca.
In The Return interpreto Euryades, un giovane pretendente di Penelope. Il film è stato girato in Grecia e racconta il ritorno di Ulisse a Itaca, tra sfide e peripezie, dopo vent’anni di guerra.
Lavorare su un set internazionale comporta ritmi frenetici e massima attenzione, ma sono felice di aver affrontato questo percorso con coraggio, anche grazie all’aiuto della mia coach Aurin Proietti, a cui sarò per sempre riconoscente. Inoltre ho avuto la possibilità di lavorare molto con il corpo e di interagire con stuntman esperti che hanno lavorato in produzioni importanti (Indiana Jones giusto per citarne una).
Insomma, ho vissuto il tutto come una grande “palestra”; ancora non mi capacito del fatto che l’universo stia accogliendo la mia arte con così tanta generosità.

Fabius de Vivo a proposito del film La Grande Guerra del Salento: «È stato un onore prendere parte a una storia così significativa e sono grato di averlo potuto fare proprio nella mia terra»
Il tuo primo ruolo da protagonista si colloca nel film La Grande Guerra del Salento. Potresti raccontarci del personaggio in cui ti sei calato e delle sensazioni provate girando nella tua Puglia?
Nel film La Grande Guerra del Salento ho interpretato Antonio, un giovane tifoso coinvolto in un evento tragico che ha colpito due piccoli paesi del Salento nel secondo dopoguerra.
Sono stato due mesi sul set, in Puglia. Girare in quei luoghi, immerso nella natura, è stato incredibile. Il film racconta una storia vera e complessa avvenuta nel 1949, dove una partita di calcio diventa il pretesto per uno scontro ideologico profondo.
Ho dovuto lavorare bene sul dialetto e ho avuto il piacere di recitare accanto a Marco Leonardi, un attore che stimo da sempre. Il suo ruolo di presidente della mia squadra di calcio ha aggiunto ulteriore spessore alla narrazione.
Interpretare Antonio, che cerca di mantenere la lucidità in un momento di grande confusione, mi ha permesso di esplorare sia il lato razionale del personaggio sia quello emotivo. È stato un onore prendere parte a una storia così significativa e sono grato di averlo potuto fare proprio nella mia terra.
Come è nato il progetto dello short film Free Spirits?
Free Spirits nasce da una profonda riflessione su come percepiamo il tempo e su quanto le aspettative sociali influenzino la nostra libertà di essere noi stessi.
Con questo progetto ho partecipato al contest Soho House Shorts, che ha visto inclusi oltre cinquecento prodotti. Inoltre ho potuto presentare il mio lavoro in anteprima a Cannes: un’emozione incredibile.
Nello short film viene esplorata la libertà autentica in un contesto dove le convenzioni ci limitano. La narrazione portata in scena racconta di Nicholas e Julia, due personaggi che, durante un elegante party, si rendono conto di poter agire liberamente in un mondo cristallizzato, in cui gli altri sembrano “ghiacciati”.
Questo concetto di liberazione dai limiti ha rappresentato il fulcro delle vicende. È stata una sfida realizzare il corto rispettando i vincoli di durata imposti dal contest, ma sono molto soddisfatto del risultato finale.
Abbiamo girato Free Spirits in Soho House, una location che incarna l’eleganza, ma in cui i protagonisti si liberano da ogni sovrastruttura sociale.
È un progetto estremamente ambizioso, oltre ad essere anche la mia prima esperienza come regista, sceneggiatore e produttore. Sono entusiasta di condividere questo traguardo con tutti i talenti della troupe che mi hanno permesso di realizzarlo. Tengo a ringraziare ciascuno di loro: Flavia Enchelli, Miriam Gagino, Davide Manca, Aldo Iuliano, Flavia Toti Lombardozzi, Alessandro Giustini, Julia Emilia Granath e tanti altri. Non vedo l’ora di vedere come il progetto verrà accolto nei festival e nelle future distribuzioni.

«Sognare è la cosa più reale che ci sia»
Quali sono gli attori e registi per te di ispirazione?
La mia più grande ispirazione come attore resta Jean-Paul Belmondo. La sua libertà espressiva e il suo magnetismo lo rendono intramontabile.
In passato ero molto legato alla corrente della Nouvelle Vague, ma ad oggi apprezzo anche diversi registi italiani che stanno lasciando il segno, raccontando storie senza tempo. In particolare per me sarebbe un onore essere diretto da Paolo Sorrentino, Luca Guadagnino e Matteo Garrone. Trovo tutti e tre geniali per motivi differenti, e sono sicuro che a livello attoriale potrebbero farmi toccare delle corde inesplorate.
E per quanto riguarda i tuoi progetti futuri, cosa hai in mente?
Recitare, scrivere, sognare. Sognare è la cosa più reale che ci sia.
