Federico Majorana è un giovane attore romano di talento e con una forte passione per la fotografia. Negli anni, gli scatti sono stati un modo per immortalare i suoi ricordi, ma anche per studiare i soggetti e le loro sfumature. «In modo inconsapevole ho spostato la mia attenzione dalle cose alle persone», ci confida, e forse questo ha influito sulla sua decisione di diventare un attore, interpretando ruoli sempre diversi e vivendo più vite. «Cerco un punto di connessione con chi devo interpretare, […] altrimenti sarei un imitatore» ha raccontato infatti durante l’intervista. Le sue prime esperienze cinematografiche arrivano con i film J’ador di Simone Bozzelli, e Favolacce di Fabio e Damiano D’Innocenzo. Ben presto però anche il mondo del teatro bussa alla sua porta con una parte nella drammaturgia Benvenute stelle scritta e recitata da Eleonora Danco. L’opera è infatti ambientata nelle periferie romane, e i protagonisti sono proprio i giovani ragazzi che abitano queste difficili realtà. Oggi Federico ritorna sul grande schermo in M – Il figlio del secolo diretto da Joe Wright. La serie, in onda su Sky e divisa in otto episodi affronta l’avvento del Fascismo in Italia e la storia di Benito Mussolini al comando del Paese. Il tema è caldo e ancora oggi divisivo, nonostante viviamo in una Repubblica dichiaratamente Antifascista.

«Credo di essermi avvicinato alla fotografia nel tentativo di conservare veri ricordi, come forse tutti».
Ripensando alla tua infanzia nella Città Eterna, quali sono i primi ricordi che ti vengono alla mente? C’è ancora oggi in te qualcosa di fanciullesco, nei modi di fare o nel pensare, che custodisci gelosamente?
Ricordo scorpacciate di pinoli nei parchi. Ora se ne trovano sempre meno. Ero molto affascinato dal vivere in un posto dove il passato è così presente nel quotidiano. Mi divertivo moltissimo a immaginare gli antichi romani nei luoghi che io vivevo quasi tutti i giorni. Ero molto affascinato dalla storia antica e giocando mi piaceva ricreare quel mondo nella mia testa.
Ti sei avvicinato alla fotografia da ragazzo, usando prima le macchinette usa e getta durante le gite scolastiche, poi le macchine fotografiche digitali. Cosa ti ha avvicinato alla fotografia e cosa ricerchi nei soggetti che scatti?
Credo di essermi avvicinato alla fotografia nel tentativo di conservare veri ricordi, come forse tutti. Ora credo sia diventato più che altro un modo di comunicare qualcosa. In modo inconsapevole ho spostato la mia attenzione dalle cose alle persone, sempre rubando un attimo e senza costruire null’altro che l’inquadratura. Ultimamente sto invece cercando di catturare un’atmosfera in luoghi vuoti o scattare cercando di far immaginare il fuori campo a chi vede la fotografia. Una ricerca estetica che punta all’esclusione quindi evitando di svelare e raccontare tutto.


«A prescindere dal lavoro credo che la cosa che mi aiuta di più sia in generale ascoltare, osservare le persone, cercare di capire o a volte non cercare di capire. »
Dalla fotografia sei passato poi al cinema. Quali sono stati i primi set a cui hai preso parte e ricoprendo quali ruoli? Di questi, quale pensi sia stata l’esperienza che più di tutte ti ha aiutato a capire di voler fare l’attore?
Ho avuto la fortuna di iniziare subito con due esperienze che mi hanno dato molto e sono state decisive. Nella stessa estate, infatti, ho girato J’ador e Favolacce. Ancora prima di vedere i lavori montati avevo capito che volevo essere attore. Anche se poi da lì non è stato immediato.
Prima di diventare un attore, hai fatto altri lavori? Cosa ti hanno insegnato, sia a livello umano che professionale? Pensi che ti abbiano aiutato a portare personaggi più veritieri sul grande schermo?
A prescindere dal lavoro, credo che la cosa che mi aiuti di più sia in generale ascoltare, osservare le persone, cercare di capire o a volte non cercare di capire. Cerco un punto di connessione con chi devo interpretare, per portare il personaggio nel mio subconscio e non il contrario. Altrimenti sarei un imitatore. Ho fatto tanti lavori, prevalentemente in bar o ristoranti, per un periodo lavoravo in uno studio di post-produzione occupandomi di montaggio di effetti sonori e questo sicuramente mi ha insegnato tanto.


«Fare l’attore non ti rende felice a prescindere, recitare invece si. Recitare è giocare, è inevitabile che farlo dia gioia».
Quanto è importante per te l’approvazione degli altri nel lavoro? In che modo recitare ti ha aiutato ad “essere felice”?
L’esposizione al giudizio degli altri fa parte di questo gioco, è inutile nascondere che a modo suo è fondamentale. Fare l’attore non ti rende felice a prescindere, recitare invece si. Recitare è giocare, è inevitabile che farlo dia gioia. In ogni caso nella recitazione come nella felicità non mi sento arrivato, e credo che questo sia insito in entrambe le cose che sono un percorso di ricerca ed evoluzione più che un punto arrivo.
Nel 2020 hai recitato nel cortometraggio J’Ador, diretto da Simone Bozzelli. Che ricordi hai di questo periodo? Il girato è stata l’occasione per parlare sia di violenza che di rapporti di dipendenza all’interno della sfera relazionale. Hai mai vissuto esperienze simili, direttamente o indirettamente?
È stato un cammino meraviglioso di cui ricordo ogni passaggio. Quando ci incontravamo per le prove, prima iniziare mangiavamo sempre rigorosamente pasta al pesto. Credo che in qualsiasi tipologia di rapporto possano esistere dei giochi di potere. Qualcosa del genere anche solo nel piccolo lo viviamo un po’ tutti, passando per entrambi i ruoli.

Nel 2023 hai preso parte alla drammaturgia Benvenute stelle regia di Eleonora Danco. Il tema affrontato è stato quello delle periferie romane e delle dure condizioni vissute dai ragazzi che vi abitano. Cosa ti ha spinto a prendere parte a questo progetto, e come ti sei preparato a questo ruolo? È stato complesso restituire al pubblico l’immagine dei personaggi raccontati da Eleonora?
Il teatro mi ha sempre affascinato, non avendo però intrapreso un percorso accademico lo avevo sempre considerato al di fuori della mia portata. Ma segretamente da sempre avrei voluto provare. Questa è stata la spinta principale, più che le tematiche affrontate, nonostante queste siano state sempre di mio interesse. Eleonora è stata fondamentale in questa esperienza, sia a livello umano che tecnico, e c’è stata una grande intesa artistica che mi ha permesso di superare paure e ansie da prestazione. I monologhi dello spettacolo erano tratti da interviste, le parole erano sincere e dirette e già queste sono state una grande fonte di ispirazione. Naturalmente anche essere cresciuto nel contesto romano e aver vissuto situazioni fra loro molto diverse mi ha permesso di capire nel profondo le interviste e poterle fare mie. Il lavoro che abbiamo fatto è stato molto sottile e sincero evitando di essere retorici o giudicanti.
Nel 2024, sei stato scelto da Gazzelle per recitare nel suo videoclip Tutto Qui. In questa canzone l’autore ripete due volte il verso “Scappare per un po’ da Roma Nord”. Come Gazzelle, hai mai sentito il desiderio o l’esigenza di scappare da qualcosa e/o qualcuno?
Da nessuno mai quanto che da me stesso. E credo che sia uno dei motivi per cui ho scelto questo lavoro. Non volendo sono però caduto in una trappola perché, in non molto tempo, ho scoperto che recitare è anche avvicinarsi a se stessi. Ciò implica una fuga dall’ ”io” ma è una fuga che alla fine porta a conoscersi. Cerco comunque di nutrire sempre la mia parte selvaggia e istintiva, sconosciuta anche a me.

Parliamo di M – Il Figlio del Secolo regia di Joe Wright. Dopo aver studiato la storia di Benito Mussolini e del Fascismo sui libri di scuola, puoi dire di aver imparato qualcosa di più grazie a questa serie? Secondo te, come è riuscito il regista a incoraggiare il suo pubblico a non – cito testualmente – «lasciarsi sedurre dalla politica della paura»? Quando hai accettato la parte, eri consapevole dell’impatto mediatico che la serie avrebbe potuto registrare in Italia?
Credo che l’intento sia riuscito a pieno. Non ci sono filtri né giudizi. Il fatto che Mussolini si rivolga direttamente al pubblico è una trovata potente che ci permette di sapere cosa accade nella sua testa, e ciò è spesso grottesco e meschino. Appena ho conosciuto Joe, al primissimo provino, ho capito subito che il tipo di lavoro che aveva in mente non avrebbe permesso fraintendimenti di alcun genere. Prima di questo incontro avevo già iniziato a leggere il libro di Scurati. Da lì in poi ho approfondito la Storia tramite documentari e biografie. Quello che ho imparato da questo ruolo è stato mantenere la giusta distanza dal personaggio, nonostante sia stata un’esperienza totalizzante che mi ha preso anima e corpo.

Quali sono i tuoi prossimi progetti? Tra 5-10 anni invece, chi e dove vorresti essere? Pensi che la tua passione per la fotografia, unita a quella per il cinema, possano portarti a intraprendere un giorno la carriera di regista?
Dal 7 al 16 febbraio sarò in scena al teatro Vascello in Bocconi Amari Semifreddo di e con Eleonora Danco. Stiamo facendo le prove in questi giorni, per ora sono concentrato su questo e punto a questo, cerco di dare ad ogni mio risultato la potenza di un punto e non di una virgola. Poi c’è da dire che sono troppo scaramantico per svelarvi le mie ambizioni. Posso dirvi solo che mi piacerebbe vivere un periodo in montagna.
Immagine in evidenza: credits Francesco Ormando