Filippo Contri: «Interpretare è creare un mondo»

È il figlio di Carlo Verdone in Vita da Carlo e protagonista di Amici per caso di Max Nardari. A tu per tu con l'attore che da consulente finanziario ha mollato tutto per la recitazione

Laureato alla Luiss in economia, lavora come consulente finanziario e molla tutto per… no, non apre un chiringuito, ma decide di fare l’attore. E con successo. È il figlio di Carlo Verdone in Vita da Carlo e protagonista di Amici per caso di Max Nardari.

Filippo Contri per NEXT GEN  si è trovato davanti a una reflex invece che a una cinepresa.  

«È un altro modo di esprimersi. Quando capitano occasioni di fare cose, come le definisco io, un po’ più “rock”, le prendo come opportunità per entrare in personaggi che nel quotidiano non mi capitano. Mi creo un mio piccolo mondo e mi diverto a fantasticare su tutto, dalla scarpa che indosso, al pantalone che magari non metterei mai nella mia vita privata, al taglio di capelli o alla pettinatura. È proprio un calarsi nei panni di qualcun altro, ed è divertente.»

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«Noi attori possiamo imparare molto dai modelli, e anche loro da noi. Ma sono due mondi differenti».

Hai mai assistito a una sfilata?

Ero alla sfilata di Armani a febbraio. È stato un evento che mi ha colpito tantissimo, una delle cose più intense che abbia mai visto dal vivo. Il lavoro dei modelli è spesso visto in modo semplicistico; uno pensa: “In fondo che hanno fatto? Hanno camminato”. Ma in quella sfilata ho percepito un’incredibile ricerca dietro ogni volto; ogni modello raccontava una storia che si abbinava perfettamente agli abiti. È uno degli spettacoli più grandi ai quali abbia mai assistito, emotivo e toccante, qualcosa di enorme. Mi sono messo nei loro panni e ho pensato: “Questi sono nati per fare i modelli”. C’è una professionalità incredibile dietro al loro lavoro, che è molto diverso dal nostro come attori.

In effetti, attori e modelli, in modo diverso, raccontano storie…

Esatto. Noi attori possiamo imparare molto dai modelli, e anche loro da noi. Ma sono due mondi differenti: loro comunicano in modo più sintetico e diretto, in pochi secondi di passerella, mentre noi abbiamo bisogno di tempo per sviluppare un personaggio.

«Sì, però ti chiedo: chi non si sente un po’ figlio di Carlo?»

Sei di nuovo sul set di Vita da Carlo. Conoscevi già Paolo Verdone prima delle riprese?

Ho avuto la fortuna di conoscerlo già alla prima stagione. Ci siamo fatti una foto insieme alla Festa del Cinema di Roma, io finalmente senza barba… e ci somigliamo: l’atteggiamento, lo sguardo furbo, il colore degli occhi, il taglio del viso. Con la barba il personaggio ha un’altra sfumatura, ma senza siamo davvero più simili. Abbiamo legato molto e Paolo è venuto a vedermi anche a teatro, la scorsa stagione all’OffOff con Discarica di Silvano Spada. Un riconoscimento davvero significativo per me. Paolo è anche un bravissimo giocatore di tennis e mi ha fatto tornare la voglia di giocare. Ora, quando mi alleno con il maestro, il mio obiettivo è provare a battere Paolo Verdone. 

Interpretare il figlio di Verdone, con Carlo che però interpreta se stesso, non crea un cortocircuito?

Sì, però ti chiedo: chi non si sente un po’ figlio di Carlo? E io posso dire: cavolo! Faccio l’attore e mi pagano per fare il figlio di Carlo! Per un attore, calarsi in un ruolo è la sfida, è il gioco. E questa sfida per me è bellissima.

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«Ogni imprevisto diventa un’opportunità per adattarsi, ma è una sensazione che mette molta pressione»

Sei appena stato in teatro, all’OffOff di Roma con Sexual fluidity?, ed eravate solo in due: tu e Lorenzo Rivola. Com’è andata? 

È stata un’esperienza completamente diversa rispetto a un set cinematografico. A teatro hai il pubblico lì davanti e ogni serata può cambiare in base alle reazioni in sala. Sul set cinematografico puoi sbagliare, la scena la porti a casa sempre. E poi c’è un rispetto del silenzio anche nelle situazioni più complicate. Tutto è sotto controllo, sennò va in merda il lavoro di tutti. In teatro no. Ogni imprevisto diventa un’opportunità per adattarsi, ma è una sensazione che mette molta pressione. La responsabilità è nostra, soprattutto quando ci sono solo due attori in scena. Abbiamo dovuto affrontare molti imprevisti, ma ci siamo adattati bene. Ci sono state battute che a noi piacevano che non hanno fatto ridere e altre, che io avrei tagliato, che il pubblico ha amato. La sera della prima il pubblico è stato più freddo rispetto alle repliche successive. Ma il teatro è così.

La prima sera non trovavo il cellulare e ho preso quello di Lorenzo. Poi serviva a lui e non lo aveva, mentre io ne avevo due. Ho avuto l’idea di lanciarglielo e il pubblico ha pensato facesse parte della drammaturgia. Senza quell’idea estemporanea, lo spettacolo si sarebbe fermato. Quando sei sul palco hai una responsabilità: sei davanti a un pubblico che ha pagato un biglietto per distrarsi e tu devi essere sempre professionale, qualsiasi cosa accada. Ma io e Lorenzo ce la siamo cavata: questo è l’importante. 

Total look Paul & Shark

«Sicuramente il fatto che se ne parli, vuol dire che ci sono ancora tante persone che non si sentono libere di vivere la propria sessualità»

Sexual fluidity? affrontata il tema della fluidità. In scena siete due ragazzi belli, etero, fidanzatissimi, che hanno un rapporto omosessuale. Dichiararsi fluidi è difficile?

Non so se sia una difficoltà. Oggi, soprattutto tra i 20 e i 35 anni, vedo che è quasi normale parlare apertamente di sessualità. In più di un’occasione, ho visto persone definirsi fluidi senza problemi. La libertà di espressione su questo tema è sicuramente cresciuta ed è bello vedere che le persone sono sempre più aperte. In certi ambienti fa quasi tendenza. 

In scena faccio una battuta dove sottolineo quanto le persone ci tengano a far sapere il loro orientamento sessuale, vanno in giro a dire “sono gay”; invece io mi sono trovato in più di una circostanza, alle feste dove era di tendenza dire “sono fluido”.  Ho visto tanti bei ragazzi, anche non battermi i pezzi, ma provare a esplorare le mie tendenze, in maniera carina, romantica, come se fossi una donna; o come io avrei potuto fare con una donna. Sicuramente il fatto che se ne parli, vuol dire che ci sono ancora tante persone che non si sentono libere di vivere la propria sessualità.  Ma oggi, per fortuna, molta gente lo dice: uomini che dicono “mi piacciono gli uomini, mi piacciono le donne”, e donne che mi dicono “mi piacciono le donne, mi piacciono gli uomini”.

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«Forse le parole dovrebbero essere ponderate anche nel quotidiano»

Sei protagonista del film “Amici per caso”, evoluzione del corto “Lui e l’altro”, L’hai guardato prima del film?

Sì, l’ho guardato una volta prima del provino, per capire il tono della commedia, ma non volevo farmi influenzare troppo dal corto. Ho cercato di portare nel film la mia interpretazione, mantenendo un equilibrio tra ispirazione e originalità.

Da alcuni anni la commedia italiana sconta il peso, la censura del politically correct. Vi è capitato di girare qualche scena e dire: forse questa non la possiamo fare così?

Giorni fa stavo leggendo un copione con il mio migliore amico. Dicevo: la storia è carina però ci sono delle battute… Parlavo di una collega e dicevo “questo cesso”. Poi parlo con un’altra persona e dico “cazzo non capisce… quello è scemo”; comunque un linguaggio molto scialbo. Poi mi rendo conto che sembravo io e il mio amico quando parliamo tra di noi. Forse le parole dovrebbero essere ponderate anche nel quotidiano; non è un buon esempio però succede e quindi, ogni tanto, è giusto pure che qualcuno ne parli. Poi ci sono scene dove c’è il rischio di sembrare un cliché, una caricatura di cose viste e riviste. In Amici per caso il mio personaggio non dice sfondoni solo a casa ma anche in pubblico, quindi ho cercato di dargli una storia e delle origini e ci ho messo molta ignoranza, quella di una persona sempliciotta, abituata ad esprimersi così. Ma sono riuscito ad arricchire il personaggio anche con le caratteristiche di una persona buona, emotiva, ingenua. Uno al quale perdoni anche un certo tipo di battute, anche quelle un po’ omofobe.

«Diciamo che creo disordine e poi passo parte della giornata a rendere tutto perfetto»

Il film parla anche di convivenza. Pensi di essere uno che convive facilmente? Cosa non sopporti delle convivenze? 

Sono difficilissime!  C’è una scena di Amici per caso, che un po’ mi riassume. Posso essere anche molto disordinato, e ci sono dei momenti in cui ho necessità di esserlo, ma poi magari mi ritrovo con la scopa, lo straccio, a levare la polvere, a pulire padelle, a fare la lavastoviglie e la lavatrice. Diciamo che creo disordine e poi passo parte della giornata a rendere tutto perfetto. C’è una scena in cui io lascio un fogliettino e chiedo scusa a Omero e gli scrivo “metterò tutto a posto”. Questo lo facevo a Shanghai con il mio migliore amico Lorenzo Bruschetti quando lavoravo come consulente finanziario, e questo lo faccio oggi con la mia fidanzata quando le mando un messaggio prima di uscire: “poi me ne occupo io”.

Per me la pulizia è un elemento imprescindibile in un rapporto di convivenza. Non si può vivere nel casino. Ora, ad esempio, mentre parlo con te, sto eliminando dal mio armadio cose che non uso più.

Credits

Photographer Erica Fava

Stylist Valeria Papa

Make Up Artist Romina Digliodo – Master Beauty University

Hair Stylist Annibale Nardozza – Master Beauty University

Post Production Angela Arena

Photographer Assistant Carolina Smolec