Francesco Panarella: “Io, il mare in tempesta e la mia vita tra sogni e ciak”

Un giovane attore amato e conosciuto dal pubblico per la sua partecipazione alla fortunata serie "Mare Fuori". Oggi Francesco si racconta tra musica, sogni e passioni che contraddistinguono il suo mondo

Francesco Panarella ha un nome che ormai molti associano alla serie cult Mare Fuori. Ma basta scavare appena sotto la superficie per scoprire un mondo sorprendente, fatto di musica, sogni, passioni. Lo abbiamo incontrato per una chiacchierata che si è presto trasformata in un viaggio tra le onde del suo percorso umano e artistico.

Il suo Instagram – username Thunderingsea – ha quasi 100 mila follower e solo dieci post. «Sì, sono sempre stato riservato. Non pubblico tanto, ma quello che c’è mi rappresenta. L’username “Mare in tempesta” l’ho scelto in Puglia, guardando un mare burrascoso».

Francesco Panarella
Francesco Panarella, ph. Sabrina Cirillo

«Il cinema è arrivato dopo, in punta di piedi, come un sogno che non avevo il coraggio di prendere sul serio»

Leggendo qua e là, ti si attribuiscono varie passioni: arti marziali, pallanuoto… 

(Ride) Pallanuoto no, mai fatta. Quella è una bufala! In compenso vado a cavallo da quando sono piccolo: equitazione western. Ho provato anche un po’ di windsurf, ma è rimasto un esperimento, magari in futuro.

Nato a Napoli, hai un legame speciale col mare… 

Volevo diventare biologo marino. Mi ero iscritto a Biologia, ci credevo molto. Ma già ai tempi del liceo frequentavo una scuola di cinema: era un passatempo, ma mi appassionava. Anche se, in realtà, io sono nato come musicista. Il cinema è arrivato dopo, in punta di piedi, come un sogno che non avevo il coraggio di prendere sul serio.

Poi ho capito che la Biologia non era davvero la mia strada. Un giorno stavo sistemando la libreria e ho trovato un mio vecchio quaderno con un ciak disegnato sul retro. E ho pensato: «Forse il segnale era sempre stato lì». Poi ho cominciato a prepararmi per il Conservatorio, volevo entrare come batterista — suono da più di dieci anni — ma nel frattempo ho cercato un’agenzia per attori. E il primo provino serio che mi è arrivato… è stato Mare Fuori.

Un vero colpo di vento che cambia la rotta. Ma chi è, oggi, Francesco Panarella? 

È una domanda difficile. Forse un sognatore, un po’ eccentrico. Uno che ama la vita, in tutte le sue sfumature, anche quelle più difficili. Ho sempre avuto una testa tra le nuvole, da piccolo ero timido, introverso. Mi rifugiavo nei film, nella musica, nei libri. Johnny Depp, Tim Burton, il fantasy: quel mondo lì era il mio rifugio.

Francesco Panarella
Francesco Panarella, ph. Sabrina Cirillo

«Nella vita c’è bisogno sia di pensare che di ridere. Non tutto quello che fa ridere è superficiale, basta scavare»

Hai un ricordo d’infanzia che ti definisce? 

Ce ne sono tanti. Mia sorella che mi leggeva libri, per esempio. È lei che mi ha introdotto alla musica e al fantasy. E poi i film la sera in TV: non ho mai avuto un genere preferito, per me ogni film può essere rilevante. Anche una commedia leggera può farti riflettere. Nella vita c’è bisogno sia di pensare che di ridere. Non tutto quello che fa ridere è superficiale, basta scavare.

Volevi entrare al Conservatorio come batterista?

La musica è una parte importante del mio percorso, anche se adesso il cinema ha preso il sopravvento. La batteria più che una terapia, un rifugio contro i bulli; era meditazione, puro amore, una parte di me che finalmente mi permetteva di partecipare al rumore del mondo. Ci ho passato la vita su quello sgabello; a fare e disfare, imparare e comporre. Però non ho mai chiuso quella porta… anche perché la porta non c’è: la musica è sempre lì.

Sei stato vittima di bullismo…

Sì. Ero timido e introverso. Anche la solitudine è un possibile bersaglio. I ragazzi più introversi spesso vengono isolati. Per me la musica e il cinema sono stati i ponti per uscire da quella solitudine. Prima come rifugio, poi come strumenti per connettermi agli altri. Suonare in una band, guardare film con gli amici… erano momenti in cui mi sentivo parte di qualcosa. L’arte è preziosa proprio perché ci accompagna sia quando siamo soli sia quando abbiamo bisogno di condivisione. 

Francesco Panarella
Francesco Panarella, ph. Sabrina Cirillo

«Ricordi che volevo laurearmi in biologia marina? E per me la salvaguardia dell’ambiente è un valore radicato»

A un certo punto la diagnosi del morbo di Kienbock e un intervento al polso che ti ha allontanato momentaneamente dalla batteria. Sei tornato a suonare?

Sì, suono ancora, anche se con un po’ di fastidio quando cambia il tempo. Ero solo un bambino quando ho iniziato a suonare la batteria. E per fortuna ci sono tornato.

Sotto un post di IG una citazione da Fight Club: «You’re not your job. You’re not how much money you have in the bank. You are not the car you drive»…

È una frase potente, mi ha sempre colpito. L’ho scelta per accompagnare una foto con il mio amico Alessandro, in cui si gioca col riflesso. È un richiamo ai doppi, al dissidio interno, proprio come nel film. Ma è anche una critica al consumismo e all’idea che ci si debba definire solo attraverso il lavoro o quello che possiedi. Un modo per rivendicare la propria libertà.

In un altro post hai ringraziato Greenpeace. Che rapporto hai con l’ambiente?

Molto forte. Ricordi che volevo laurearmi in biologia marina? E per me la salvaguardia dell’ambiente è un valore radicato. Mi ispiro a personaggi come Jason Momoa e Leonardo Di Caprio, che usano la notorietà per veicolare messaggi importanti. Credo che se hai un pubblico, anche piccolo, hai il dovere di dire qualcosa che faccia bene.

Francesco Panarella
Francesco Panarella, ph. Sabrina Cirillo

«La paura è anche un modo per sentirsi vivi, come la felicità. Io guardo film horror proprio per quello: perché mi ricordano che sto provando qualcosa»

Dopo la diagnosi del morbo di Kienbock, hai scritto su IG: «Ma l’altra faccia della paura è sempre il coraggio»… E se ti dicessi che il coraggio è la paura più un passo?

Mi piace! Quella frase parla di me, perché soffro d’ansia e attacchi di panico. Però non voglio demonizzarli: sono segnali del corpo, come un campanello d’allarme. Vanno ascoltati, accolti. La paura è anche un modo per sentirsi vivi, come la felicità. Io guardo film horror proprio per quello: perché mi ricordano che sto provando qualcosa. E poi, se la conosci, la paura può diventare alleata. Io, ad esempio, se non avessi paura del futuro, non cercherei di dare il mio meglio adesso…

E l’amicizia? Come cambia, quando si diventa famosi? 

No, famoso no. Al massimo “noto”. Per me famoso è Johnny Depp (ride). L’amicizia non è cambiata. I miei amici sono gli stessi di sempre, da una vita. Siamo come fratelli. Ognuno è diverso, ma proprio questa diversità ci tiene uniti. C’è una fiducia che non è mai venuta meno. Siamo una famiglia vera. 

Un viaggio che vorresti fare?

In California … è sempre stato un sogno, sin da bambino. So che è romanzata, che il “sogno americano” è più mito che realtà, ma quel posto mi affascina da sempre. È lontano, ma allo stesso tempo incredibilmente vicino a me. È la patria del mio gruppo e del mio batterista preferito, la culla del cinema e della musica. I Guns N’ Roses, i Mötley Crüe… tutta quella scena rock, tutte quelle storie di rockstar, gli eccessi, i miti… tutto è nato lì. È un mondo strano, estremo, ma almeno una volta nella vita vorrei vederlo con i miei occhi.

Quelli sono gruppi che oggi, quando li guardo, per me sono sogni, non sembrano nemmeno esseri umani. Uno come Slash o Keith Richards – che tra l’altro è una delle mie principali influenze – non è una persona. Non riesco a immaginare di uscire di casa e stringere la mano a Keith Richards. È come se non fosse mai nato, è sempre esistito. Non respira nemmeno, è leggenda. Quello per me è essere famoso. 

Francesco Panarella
Francesco Panarella, ph. Sabrina Cirillo

«Mamma è sempre stata una donna straordinaria e fortissima. Ho un legame molto stretto con lei. […] non mi ha mai “tagliato le ali”»

In Mare Fuori interpreti uno che vuole fare il boss, ma tua madre è in polizia…

Verissimo. Mamma è commissario capo di polizia, ora in pensione. Un bel contrasto, no? Mamma è sempre stata una donna straordinaria e fortissima. Ho un legame molto stretto con lei. Una cosa di cui le sarò sempre grato è che non mi ha mai “tagliato le ali”. Mi ha sempre permesso di seguire le mie passioni, dalla biologia alla recitazione, alla musica. Mi ha dato la libertà totale di scoprire chi fossi e chi volessi diventare, senza pressioni. È un’opportunità preziosa, soprattutto in un’epoca frenetica come la nostra, dove sembra che si debba capire tutto subito. Invece, c’è bisogno di tempo per provare e riprovare, fino a trovare la propria strada.

E com’è stata questa quinta stagione per te?

Molto intensa. La quinta stagione è stata davvero dark. C’è stato tanto da scavare dentro. Ma è anche questo che mi piace del mio lavoro: esplorare i lati più profondi e scomodi dell’essere umano.

Qual è il tuo rapporto con Cucciolo?

Lui si è sempre fatto carico del fratello e dalla madre tossicodipendente. In questa quinta stagione compie delle scelte che, oggettivamente, possono sembrare discutibili. Per poterlo interpretare, ho dovuto trovare un senso interiore a queste azioni. Non una giustificazione, perché il male non lo è mai, ma una comprensione delle motivazioni.

Senza fare spoiler, ci sono comportamenti che spiazzano. Ad esempio, nei primi episodi, il suo personaggio sembra negare al fratello la possibilità di inseguire il sogno di diventare calciatore. Inizialmente, ho faticato a capire questa decisione. Ma ho cercato di mettermi nei panni di un diciassettenne padre della sua famiglia. Non ha gli strumenti per garantire un futuro ai suoi cari se non attraverso ciò che conosce: la strada del “boss”. Qualsiasi evento esterno che possa mettere a rischio questa stabilità, lo percepisce come una minaccia. È un personaggio complesso che ha richiesto un grande lavoro di analisi.

Cucciolo mi ha fatto riflettere sul fatto che spesso non c’è un “senso” predefinito nella vita. Il mio personaggio si è trovato in un contesto specifico e ha dovuto agire con le opportunità e i limiti che gli si sono presentati. La strada sbagliata che ha intrapreso non nasce solo dalla cattiveria, ma anche dal contesto e dai pregiudizi. In ogni caso, come attore, non giudico mai il mio personaggio, cerco di comprenderlo anche nelle scelte più difficili.