Nato a Milano da madre belga e padre italiano, cresciuto in Piemonte tra libri e palcoscenici improvvisati, Giulio Greco non ha mai percorso una strada lineare. A pochi mesi già davanti alla macchina da presa per uno spot Chicco, da adolescente si divide tra spettacoli autoprodotti e una precoce passione per l’editoria, che lo porta a fondare, giovanissimo, la casa editrice “Giuliano Ladolfi”. Laureato in Scienze Politiche, giornalista pubblicista, direttore marketing per la rivista Atelier, Greco affianca al mestiere della parola quello della scena, formandosi in scuole prestigiose tra Milano e Los Angeles.
Dopo i primi ruoli tra teatro, cortometraggi e pubblicità, trova il primo snodo importante in On Air – Storia di un Successo, seguito da film come Tafanos, Hard Night Falling e serie come Alex & Co.. Passa attraverso progetti internazionali (Rosaline, Stories, Comandante, SuperSex per Netflix), spostandosi tra Italia e Stati Uniti, senza perdere mai una certa tensione alla ricerca. Oggi è protagonista di nuove sfide: in Gangs of Milan – le nuove storie del blocco interpreta una realtà urbana pulsante, mentre in Prophecy, adattamento cinematografico di un celebre manga, si misura con l’azione e la cultura pop globale. In parallelo, continua a muoversi tra horror (The Curse Under The Mountain) e nuovi set ancora da svelare.
Un percorso, il suo, in cui ogni ruolo sembra essere l’occasione per esplorare non solo un personaggio, ma anche nuove geografie interiori.

«Quello che mi ha attratto di più di questo progetto è la capacità di saper raccontare ciò che avviene veramente, in modo crudo e senza filtri»
In Gangs of Milan – le nuove storie del blocco, sei parte del secondo capitolo di una serie molto seguita: che tipo di energia e visione hai trovato sul set? E cosa ti ha attratto del progetto?
Ho vissuto Milano prevalentemente tra i 19 e i 26 anni: università, serate, locali in centro, calcio in periferia. Stessa città, società molto diversa. A Milano si parla di “globalizzazione” e di “metropoli internazionale”, ma è davvero così? Quello che mi ha attratto di più di questo progetto è la capacità di saper raccontare ciò che avviene veramente, in modo crudo e senza filtri, una realtà che spesso viene mitizzata, mistificata ed edulcorata.
Con il personaggio di Piero ho cercato di portare sullo schermo proprio questo: nessun filtro. La sensazione in ogni momento è stata di energia condivisa, reboante e luminosa in temi oscuri e silenziosi. Ci sono stati stretti legami tra tutti noi attori e amicizie che si sono consolidate con alcuni, fiorite con altri.
Sky e il regista Ciro Visco hanno costruito un progetto dal respiro internazionale, intenso e originale, in cui la tecnica, lo studio e l’immaginazione creano un intreccio perfetto che spinge a seguire.
In Prophecy, tratto da un manga giapponese, interpreti Manfredi in un film d’azione diretto da Jacopo Rondinelli: come ti sei preparato a un ruolo che unisce cultura pop, tensione e ritmo narrativo intenso?
Prophecy è un film coraggioso e vero. Jacopo Rondinelli e Andrea Sgaravatti hanno saputo realizzare e trasformare un manga giapponese con vibrazioni meglio intellegibili dal panorama occidentale.
Manfredi è un business angel senza scrupoli che guarda unicamente all’interesse personale a costo di “eliminare” qualsiasi rivale impadronendosi illegittimamente delle idee altrui.
Ho dovuto scavare molto nella mia parte oscura per interpretare il personaggio di Manfredi perché agisce esattamente come Giulio non farebbe mai. Ha quarant’anni, ma la cura del suo corpo è determinante per mostrarsi come “uomo di successo”.
Mi sono domandato molte volte durante le riprese cosa significasse veramente il termine successo senza cadere nella banalità. La risposta, probabilmente, può arrivare solo attraverso un percorso spirituale che unisce viaggio, lettura e ascolto, certamente non tramite l’idealizzazione del termine che porta solamente all’estetica, al denaro, al prevaricare sugli altri.
Stai lavorando contemporaneamente su una nuova serialità e un film internazionale: cosa ci puoi anticipare di questi progetti? Cosa ti ha spinto ad accettarli?
I due progetti sono girati sul territorio napoletano, un luogo grazie al quale più passa il tempo, più mi accorgo della magia che, aspettando, ti abbraccia.
A Sorrento lavoro in un film internazionale con attori americani, messicani, inglesi, italiani. Il ruolo presenta grandi sfumature ed è totalmente diviso tra due poli che gli causano enorme sofferenza.
A Napoli invece interpreto un ruolo in una serie che mi sta emozionando sotto tutti i punti di vista, ma soprattutto sotto quello umano e artistico. Un caro amico e collega direbbe: “Siamo un team!”… Presto capirete perché.

«Cercare risposte, scavare negli antri più bui della mente, del cuore e del corpo, portano a una connessione ancestrale e quasi “animalesca” con noi stessi»
The Curse Under The Mountain segna un’incursione nel genere horror: com’è stato entrare in una dimensione narrativa così suggestiva e carica di tensione emotiva?
Uno dei lati interessanti dell’approccio all’horror è l’alternanza tra action e stop. Quando si gira, la tensione emotiva è altissima: urla, pianti, paura, stress fisico e mentale alle stelle.
Le pause, invece, sono i momenti più divertenti che abbia mai vissuto: ci si getta nella risata e nello scherzo che, come una bilancia, ripristinano l’umore, rendono così bello il gioco dell’attore.
Abbiamo vissuto due momenti divisi che si possono considerare “viaggi”: una prima parte in cui abbiamo girato tutti gli interni, una seconda nelle Dolomiti in cui abbiamo potuto incontrare noi stessi attraverso la bellezza della natura.
La paura è un’emozione complessa, costruita in parte da noi stessi, in parte condivisa con gli altri, in parte è una reazione innata per la salvaguardia e la protezione. Cercare risposte, scavare negli antri più bui della mente, del cuore e del corpo, portano a una connessione ancestrale e quasi “animalesca” con noi stessi: lavoro lungo e tortuoso, ma certamente affascinante.
Dopo ruoli come quello in Comandante e SuperSex, stai esplorando registri molto diversi: c’è un tipo di personaggio o genere in cui ti senti più libero o che ti sfida di più?
Il significato di questa scelta di vita, di questo mestiere, per me è proprio quello di sperimentare. Solo così si può crescere come essere umano e come artista. Desidero cambiare il corpo, la voce, danzare, cantare e allo stesso tempo chiudermi in un mutismo selettivo, parlare con un solo sguardo codici e lingue diverse, saltare con un paracadute, imparare un nuovo sport estremo, approcciare uno strumento antico, provare dolore profondo, gioia senza limiti, inebriarmi del rumore croccante delle foglie autunnali,
congelare tra i ghiacci, incontrare animali di ogni genere, salpare i mari e navigare nei cieli.
Oggi? Vorrei lanciarmi in un personaggio che vada in direzione opposta, che sia tutto quello che il pubblico non si aspetta.
La recitazione è la tua più grande vocazione: in che modo la tua esperienza editoriale e letteraria ha arricchito il tuo approccio alla costruzione dei personaggi?
La casa editrice Giuliano Ladolfi che ho fondato con lui nel 2010 ha totalmente cambiato e modellato la mia vita.
Giuliano, come un padre, mi ha preso per mano e mi ha permesso di cimentarmi nella profondità culturale in cui storie e stili si mescolano per un continuo rinnovamento. A fianco di un lavoro che definirei letterario/spirituale, c’è sempre stato anche il lato imprenditoriale e “concreto”, binomio che mi ha dato input complementari e donato una coscienza che si è sviluppata in diverse direzioni in modo da poter allargare i miei confini culturali e umani.

«Amo questo percorso perché mi dona un senso di libertà. Mi fa sentire vivo»
Dal ruolo di Marco Mazzoli in On Air a quello di Christoph Clark in SuperSex, come affronti la trasformazione emotiva tra personaggi tanto diversi?
Leggo. Aspetto. Ascolto. Ricomincio. Segno idee. Rileggo. Ascolto. Poi, piano piano, tutto sedimenta, piove e poi fiorisce.
In ogni personaggio c’è una parte di noi che conosciamo e una parte di noi che non conosciamo.
Ci sono influenze di altri artisti, di altri esseri umani, colori, suoni. Amo questo percorso perché mi dona un senso di libertà. Mi fa sentire vivo. Sono in continua trasformazione e sedendo, camminando, correndo, cerco di cogliere il vento e dirigermi su nuovi lidi.
Hai studiato con grandi maestri tra Italia e Stati Uniti. Qual è la lezione più preziosa che porti ancora oggi su ogni set?
Coltivare l’umiltà e annaffiarla con il duro lavoro. Accettarsi ed essere grati.
Parli fluentemente francese, inglese, spagnolo e italiano: come cambia il tuo modo di recitare da una lingua all’altra? L’identità si plasma anche nella voce?
La lingua è il bacino culturale di un popolo. Basta pensare alla vastità del vocabolario dell’italiano e del francese, come pure al comporre creando significati diversi, come nell’inglese i phrasal verbs, o alle sfumature drammatiche e ritmiche dello spagnolo. Non basta “parlare” una lingua, bisogna studiarne la cultura, la sensibilità, la storia del popolo in questione.
Mi accosto spesso al lato comico di una lingua, perché credo che attraverso la risata si possa entrare a fondo nella sua specificità culturale e morale.
L’identità si plasma nel corpo/voce che sono profondamente legati. Amo sperimentare, anche grazie al canto e alla musica, come possa “suonare” il nostro corpo.
Sono profondamente contrario al doppiaggio che utilizza l’intelligenza artificiale perché non si tratta di “trasportare” da una lingua a un’altra, ma di rielaborarne il contenuto con codici diversi.
In latino la radice di “tradurre”, “tradire” e “tramandare” è la stessa. Sta all’attore studiare un testo e poi seguire questi tre passaggi per rendere con la propria sensibilità il messaggio dell’opera artistica.
Dopo tanti ruoli e generi, dove immagini che ti porterà il tuo percorso nei prossimi anni? Preferisci seguire la traiettoria o lasciarti sorprendere?
La sorpresa va a braccetto con l’improvvisazione e l’intuizione. L’intuizione è uno shortcut del pensiero, plasmato con anni di lavoro e di esperienza.
Continuerò a lavorare sodo, a impegnarmi e sono certo che il percorso mi porterà a luoghi in cui potrò esprimere una ancora più vasta gamma di personaggi, emozioni e trasmettere l’amore che ho per questo mestiere.

«Troppo spesso, purtroppo, siamo schiavi del profitto senza badare troppo alla responsabilità della cultura»
Hai lavorato tra grandi produzioni internazionali e progetti d’autore: qual è oggi, secondo te, il compromesso più difficile tra industria e autenticità?
Come direbbe il mio socio Giuliano Ladolfi, viviamo in una società “emporiocentrica”. Troppo spesso, purtroppo, siamo schiavi del profitto senza badare troppo alla responsabilità della cultura.
Ritengo, infatti, che la cultura debba essere accessibile a un vasto pubblico, altrimenti diventa un semplice esercizio di forma.
La base è sempre la scuola che procura le basi per una formazione permanente che dura l’intera esistenza e per l’acquisizione di un autentico pensiero critico.
Una proposta di soluzione potrebbe essere quella di distribuire fondi a “più voci” in modo da rendere diversi modi di intendere il cinema e le altre arti.
Certo, tanto dipende anche dagli spettatori: bisogna osare di più, andare a vedere film meno propensi al box office, frequentare il teatro e mostre d’arte, ascoltare musica dal vivo (sarebbe bello la musica classica), a dedicarsi a hobby “artigianali”. Una società più consapevole favorisce l’acquisizione di valori artistici più profondi e comunicativi.
Guardando alla tua evoluzione come attore, qual è stata finora la scena più difficile da girare e perché?
La difficoltà si incontra quando ci si “mette a nudo”. Ciascuno di noi viene colpito da uno o più tipi di nudità. Ho girato scene complesse dal punto di vista della nudità fisica, come in SuperSex, o morale, come in Gangs of Milano. Vorrei cimentarmi di più nella nudità emotiva e lavorare con un regista che mi spinga a conoscere e mettere sullo schermo la mia più profonda intimità.
C’è un personaggio che sogni ancora di interpretare, magari tratto da un’opera letteraria, storica o totalmente inventato? E perché proprio lui?
Ci sono tantissimi personaggi che mi piacerebbe conoscere e interpretare. Ne cito tre, senza nesso logico ma per puro divertimento: Batman perché è il mio supereroe preferito, Legolas perché amo il Signore degli Anelli, Napoleone perché ho letto molto su di lui e mi affascina la sua vita.