Sugli schermi con la seconda stagione de Il Patriarca, in onda su Canale 5, Cecilia Napoli veste di nuovo i panni di Alice Florio, determinata agente di polizia nella serie diretta e interpretata da Claudio Amendola. Cecilia, che vanta un percorso che spazia tra teatro, cinema e televisione, si distingue per una profonda dedizione alla professione e una visione artistica che riflette impegno e autenticità.
Il suo percorso formativo inizia con il teatro. «Ho iniziato con la passione per il teatro, che mi ha portato a formarmi con figure di riferimento come Nadia Baldi. Nadia riesce a farti raggiungere corde profonde: sa come portarti anche nel tuo inferno, ma con una solida rete di sicurezza. È una docente fantastica».

Diploma alla Scuola di Recitazione Cinematografica di Jenny Tamburi, workshop con Pierpaolo Sepe, Massimiliano Bruno, Elio Germano. Prima però l’università…
Non mi presero al Centro Sperimentale, ma decisi che mi sarei formata ugualmente. Per me la formazione è fondamentale e, soprattutto, deve essere continua. Così mi iscrissi al DASS della Sapienza di Roma, laureandomi in Storia del cinema e del teatro. Nel frattempo frequentavo la scuola di recitazione. Poi riprovai le selezioni al CSC e mi presero. Credo che un’esperienza fondamentale sia stata la summer class alla Royal Central School of Speech and Drama a Londra. Mi ha insegnato a “vivere il momento” sul palco, un insegnamento che porto con me ogni giorno. Quella scuola mi ha dato gli strumenti che mi hanno permesso di superare le successive selezioni al CSC.
Qual è il tuo rapporto con il teatro?
Amo profondamente il teatro. Ho avuto l’opportunità di lavorare con grandi registi, come Massimiliano Bruno, che considero un vero maestro, un uomo di grande generosità artistica. In teatro con lui si lavora su ogni dettaglio, dalla scenografia alle luci, ed è proprio questo lavoro corale che mi affascina. È un ambiente che mi ha formato e che mi regala ancora tante emozioni.
Sei nel cast della serie Il Patriarca…
Interpreto Alice, un’agente di polizia dedita al suo lavoro, con un forte senso della legalità e della giustizia. Apparentemente molto diversa da me, ma con la quale condivido la testardaggine e il senso del dovere. Alice vuole dimostrare il suo valore perché crede in quello che fa e, da questo punto di vista, mi ci ritrovo molto. Sono molto legata a questo personaggio perché è il mio primo ruolo seriale importante a livello televisivo. Per prepararmi, ho persino incontrato una poliziotta per studiare movenze e atteggiamenti: volevo sapere come si impugna una pistola, come si effettua un arresto, come si mettono le manette. È stato stimolante lavorare con un cast eccezionale e con Claudio Amendola, un professionista che riesce a creare un’atmosfera familiare sul set. Essendo un attore, sa perfettamente come dirigere, cosa chiedere agli attori e in che modo. Per lui il set non è un luogo di lavoro, ma la sua casa. Pretende molto ma dà anche tanto.

Hai preso parte al corto Sette Settimane, presentato alla 81ª Mostra del Cinema di Venezia, diretto da Enrico Acciani. È il racconto, crudo e realistico, di una questione ancora aperta: la libertà di scelta di una donna di interrompere una gravidanza. Qual è stata la tua reazione a un progetto così delicato?
Appena ho letto la sceneggiatura, ho capito che era un tema importante da raccontare, soprattutto in Italia, dove questo argomento è ancora divisivo. A Venezia, durante la presentazione, molti chiedevano perché era un uomo a parlare di aborto; ho quindi percepito quanto sia cruciale sensibilizzare su questi temi. Il cinema ha un’enorme forza collettiva e può dare voce a discussioni necessarie. Non solo, ma “Sette settimane” parla anche delle tutele delle donne sul lavoro. Enrico ha trattato questi due temi con delicatezza e lucidità e io mi sono completamente affidata. Questo mi ha consentito di recitare senza seguire la mia mente ma quella del regista.
A volte può accadere che una donna pensi: perché è un uomo a parlare di qualcosa che riguarda me? Perché non ci sono più registe donne che ne parlano? Dovrei parlarne io che lo subisco…
Sì, può scattare questo retropensiero, però così ci dividiamo ancora di più e diventa: di queste cose possiamo parlarne solo tra donne e di queste solo tra uomini. Nel 2024 dovremmo parlare di come abortire e non se farlo. Quando ho letto la sceneggiatura ho pensato fosse un argomento importantissimo da trattare e ho anche capito che Enrico ne avrebbe parlato in modo corretto. A Venezia l’emozione della pellicola è arrivata al pubblico in sala e mi sono sentita fiera di aver preso parte al progetto. Il cinema ha una forza comunicativa strepitosa, di qualsiasi cosa parli.

Che sfide affrontano oggi le donne nel tuo settore?
Il cosiddetto soffitto di cristallo è ancora una realtà. Le donne spesso guadagnano meno e hanno meno accesso a ruoli di responsabilità, come la regia. È fondamentale cambiare mentalità, non solo degli uomini ma anche delle donne stesse, per valorizzare davvero la creatività e l’unicità di ogni individuo. Ci sono tanti argomenti dei quali non dovremmo più parlare, ma se ancora non sono stati superati, ok, allora parliamone, anche attraverso il cinema.
Qual è il progetto che sogni di realizzare?
Amo i progetti che riescono a combinare il valore artistico con l’impatto sociale. Sto lavorando a qualcosa che spero di portare in scena l’anno prossimo, un’opera teatrale che unisca emozione e riflessione.
Cosa ami del tuo lavoro e cosa ti mette più alla prova?
Amo la possibilità di esplorare le sfumature umane e vivere altre vite attraverso i personaggi. Tuttavia, è un lavoro che richiede una ricerca continua, impegno costante e tanta tenacia, soprattutto nei momenti in cui non si lavora, quando il dubbio di non farcela ti assale. È un lavoro che ti porta a metterti spesso in discussione, soprattutto quando, a differenza di altri lavori, stai a casa aspettando che ti chiamino. E questo accade, magari in modo diverso, a chi lavora da tanti anni e ai giovani. Sono però i momenti in cui, anche per motivi economici, devi tirare fuori la tua creatività per trovare un lavoro alternativo o usarli per studiare e cercare il tuo prossimo ruolo, dimostrando quanto ami fare questo mestiere. È la passione per questa professione che mi spinge sempre a continuare.