Ilaria Martinelli racconta Avetrana – Qui non è Hollywood, serie presentata alla Festa del Cinema di Roma

Una serie che ha gli standard delle serie internazionali, che non strappa lacrime o indignazioni dell’ultima ora, ma che racconta una storia entrando in personaggi universali

Tra le serie presentate alla Festa del Cinema di Roma, Avetrana – Qui non è Hollywood, la miniserie originale diretta da Pippo Mezzapesa, prodotta da Groenlandia e prevista su Disney+ il 25 ottobre. La messa in onda è stata sospesa temporaneamente dal tribunale di Taranto a seguito del ricorso cautelare d’urgenza fatto da Antonio Iazzi, sindaco di Avetrana, che ha richiesto di poter visionare in anteprima la serie per valutarne la “portata diffamatoria” nei confronti degli abitanti del paese.

Dopo quanto avvenuto allora, quando Avetrana era davvero la Hollywood dei poveri, con bar e ristoranti pieni di avventori, con giornalisti senza scrupoli pronti a dare in pasto al loro pubblico qualunque fatto trasformato in scoop, con la fila di persone che avevano qualcosa da raccontare pur di apparire in televisione, è curioso che ci si preoccupi ora della serie diretta da Pippo Mezzapesa. Una serie che ha gli standard delle serie internazionali, che non strappa lacrime o indignazioni dell’ultima ora, ma che racconta una storia entrando in personaggi universali. Una bravissima Vanessa Scalera (Cosima Serrano) che letteralmente si cala in un corpo non suo, tremendo, per viverlo e scoprirlo dal suo interno. Giulia Perulli (Sabrina), che ha preso i kili necessari, si è tinta i capelli ed è andata in giro per mesi con quel corpo per imparare a viverci. Un bravissimo Paolo De Vita nei panni di Michele Misseri.
Nel cast anche Ilaria Martinelli (Mariangela), un personaggio che emerge nella vicenda processuale, e che nella serie crea un ponte tra Sarah e Sabrina.

Ilaria Martinelli Avetrana
Ilaria Martinelli, total look Suite 76, jewels Paola Spinetti Jewels

«La serie evita di emettere giudizi. Racconta i fatti con grande sensibilità e umanità»

Quanti anni avevi quando è scoppiato il caso di Sarah Scazzi? Ricordavi qualcosa di quel fatto di cronaca?

Nel 2010 avevo 18 anni, quindi ricordo benissimo tutta la vicenda. Era come seguire una fiction a episodi, con continui capovolgimenti. Siamo stati incollati alla TV per mesi, seguendo ogni aggiornamento. La scena in cui, durante Chi l’ha visto?, la madre di Sarah viene informata in diretta del ritrovamento del corpo è rimasta impressa a tutti. Inoltre, essendo io di Bari, il fatto mi colpì particolarmente anche per la vicinanza geografica. Avetrana non è così distante e, sebbene Bari sia una città più grande, la vicenda sembrava in qualche modo “vicina” alla mia realtà, pur essendo ambientata in un contesto di provincia molto diverso dal mio.

Cosa pensi che la serie Avetrana – Qui non è Hollywood aggiunga alla narrazione mediatica che si è sviluppata negli anni attorno a questo caso?

Trovo che la serie aggiunga un taglio estremamente interessante, perché si oppone al sensazionalismo che ha caratterizzato la narrazione mediatica di allora. I media, in quel periodo, hanno spesso oltrepassato ogni limite deontologico, entrando con forza nella vita di questa famiglia e nella comunità, sconvolgendone gli equilibri. La serie restituisce dignità alla vittima, a Sarah, spesso dimenticata nelle cronache a favore del focus sui colpevoli o presunti tali. Viene mostrata non solo come una vittima, ma anche nella sua complessità di quindicenne in un momento delicato della crescita. Sono state raccontate anche delle zone d’ombra: Sarah qui non è un personaggio idealizzato, edulcorato, come spesso è stato raccontato dalla stampa. E anche questo, a mio avviso, è un aspetto interessante.
La serie, inoltre, evita di emettere giudizi. Racconta i fatti con grande sensibilità e umanità, dando spazio a tutte le sfumature dei personaggi coinvolti, inclusi gli aspetti più oscuri delle relazioni familiari e le fragilità adolescenziali.

Ilaria Martinelli Avetrana
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Ilaria Martinelli su Avetrana – Qui non è Hollywood: «La sfida principale è stata raccontare la storia senza pregiudizi»

È stato difficile mantenere un equilibrio tra il racconto di fatti reali, il rispetto del copione e la tua opinione sui fatti? È stato difficile non farti coinvolgere emotivamente?

Il mio personaggio, Mariangela, diventa noto soprattutto durante la fase processuale, quando fornisce alcuni elementi importanti per la ricostruzione dei fatti. Proprio perché Mariangela era meno conosciuta rispetto ad altri personaggi, Pippo (Mezzapesa – il regista – nda) mi ha dato una certa libertà interpretativa. Mi ha chiesto di dare un tocco di leggerezza, non comico ma umano, a un contesto molto cupo e drammatico. Questo mi ha aiutato a mantenere una certa distanza emotiva. Tuttavia, nelle dinamiche tra il mio personaggio, Sarah e Sabrina, c’è un triangolo di relazioni molto intenso, quindi è stato inevitabile coinvolgermi in qualche misura. Ma il mio ruolo aveva anche la funzione di alleggerire in alcuni momenti la tensione, il che mi ha permesso di rimanere più “esterna” rispetto ad altri attori. Io sono quella che vezzeggia Sarah, perché è la più piccola del gruppo, e calma Sabrina quando diventa aggressiva.

Ci sono stati momenti sul set in cui avete fatto fatica a essere solo attori? Com’era l’atmosfera durante le riprese, almeno quelle che hai girato?

Sul set c’era un’aria di grande rispetto e serietà. Pippo ha sempre mantenuto un approccio molto delicato e attento nel raccontare questi fatti, e questo atteggiamento si rifletteva sul lavoro di tutti. Ci sono state scene emotivamente difficili, come quella del ritrovamento del corpo di Sarah, in cui è stato impossibile non farsi coinvolgere. Ma Pippo ci ha sempre ricordato che noi eravamo solo narratori, non giudici o investigatori, e questo ci ha aiutato a mantenere il giusto distacco.
Un elemento curioso è stato l’atteggiamento dei passanti. Non abbiamo girato ad Avetrana, ma nei dintorni, e alcune persone reagivano in modo strano: alcuni erano esasperati, non volevano più sentir parlare della vicenda, mentre altri avevano una curiosità morbosa, addirittura chiedevano foto con gli attori che interpretavano i personaggi reali. Sentirsi dire “puoi fare una foto con mio figlio?” è abbastanza inquietante. Questo però dimostra quanto la vicenda sia ancora attuale e viva nell’immaginario collettivo.

Quali sono stati i maggiori ostacoli o sfide che hai affrontato su questo set?

La sfida principale è stata raccontare la storia senza pregiudizi. Pippo ci ha sempre detto che dovevamo sospendere il giudizio sui nostri personaggi, anche se si trattava di persone che avevano commesso crimini. Questo è un esercizio difficile, ma necessario per empatizzare con i personaggi. Bisogna capire quali sono state le ragioni e le fragilità che li hanno portati a certi comportamenti, senza cadere in facili condanne. Questo approccio mi ha aiutato a mantenere una certa lucidità nell’interpretazione.

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«Questa vicenda tocca corde universali, legate alle paure e alle fragilità umane»

La messa in onda della serie è attualmente sospesa per ordine del giudice. Qual è lo stato d’animo con cui attendi l’uscita su Disney?

Aspetto l’uscita della serie con grande trepidazione, nonostante le polemiche. Credo che la comunità di Avetrana possa trovare in questa serie un’opportunità per riscattarsi, perché la storia non è stata raccontata per mettere in cattiva luce il paese. Fatti delittuosi accadono ovunque, e non è un problema specifico di Avetrana. Questa vicenda tocca corde universali, legate alle paure e alle fragilità umane.
Mettere da parte questa storia non serve; va raccontata, con la speranza che si possa trovare una nuova narrazione per la comunità, magari anche un’opportunità di rinascita.

Dal 12 al 17 novembre sarai a Roma con Capitolo Due di Neil Simon, diretta da Massimiliano Civica. Sarà la prima volta che andrai in scena dopo la messa in onda della serie. Ti aspetti un’attenzione diversa?

Il teatro è il mio primo grande amore. Mi ha aiutato molto, soprattutto a sviluppare la capacità di lavorare sulle emozioni dei personaggi. Spero che la serie possa incuriosire il pubblico, magari avvicinando anche persone che non frequentano il teatro. Sarebbe una vittoria per me se la curiosità suscitata dalla serie portasse più gente a scoprire il teatro.

Il teatro ti ha aiutato a prepararti per questo ruolo televisivo?

Sì, assolutamente. Il teatro è stato fondamentale per prepararmi a questo ruolo televisivo. Recitare a teatro ti insegna a sviluppare una profonda empatia e a entrare in contatto con l’umanità in tutte le sue sfaccettature. Ti permette di interpretare una vasta gamma di personaggi e situazioni, costringendoti a lasciare da parte te stesso per indossare i panni del personaggio. L’esperienza teatrale ti apre la mente, consentendoti di esplorare aspetti del tuo carattere e della tua interiorità che magari non conoscevi, e ti aiuta ad avvicinarti a realtà che sembrano distanti da te. Questo processo ti rende anche più tollerante e ti permette di comprendere meglio l’umanità in tutta la sua complessità, caratteristiche che sono fondamentali anche nel lavoro televisivo.

Credits

Photographer Alessandro Rabboni