Margherita Ferri porta Il ragazzo dai pantaloni rosa alla Festa del Cinema di Roma

Una porta dalla quale entrare nella vita che non c’è più di un quindicenne come tanti, Andrea, la cui voce siede in sala, accanto a te, ti fa da guida, ti spiega, ti racconta

«Le parole sono come vasi di fiori che cadono dai balconi. Se sei fortunato, le schivi e vai avanti, ma se sei più lento ti centrano e rischiano di ucciderti».
È una frase da Il ragazzo dai pantaloni rosa, prodotto da Eagle Pictures e Weekend Film. In uscita al cinema il 7 novembre, il film racconta le vicende di Andrea Spezzacatena, 15enne che nel 2012 si è ucciso a Roma a causa degli atti di bullismo di cui era vittima.
Dal libro è nato un film semplice, diretto, senza fronzoli, toccante, privo di inutili moralismi, scritto da Roberto Proia. Una porta dalla quale entrare nella vita che non c’è più di un quindicenne come tanti, Andrea, la cui voce siede in sala, accanto a te, ti fa da guida, ti spiega, ti racconta. Così, in amicizia. Così, come il ragazzo della porta accanto, l’amico di tuo figlio, tuo figlio. Così, da morto.
In scena una coinvolgente Claudia Pandolfi e un bravissimo Samuele Carrino per l’opera seconda della regista Margherita Ferri. Nel cast anche Andrea Arru, Sara Ciocca, Corrado Fortuna.
Il ragazzo dai pantaloni rosa è stato presentato ad Alice nella città e alla Festa del cinema di Roma e il sottotitolo di questo articolo potrebbe essere: Dal fango di Bologna al red carpet di Roma. Perché è così che raggiungo la regista Margherita Ferri: «scusa il trambusto, ma sono a Bologna per aiutare a spalare fango». Già, perché mentre a Roma si accendono i riflettori sulla Festa del Cinema, Bologna è alle prese con i danni dell’ennesimo alluvione.

Margherita Ferri Festa Cinema Roma
Margherita Ferri

«Spesso c’è questa idea che il bullismo e la violenza esistano solo in contesti borderline, ma in realtà permeano tutti i livelli della società»

Alla realizzazione del film ha collaborato anche la madre di Andrea, Teresa Manes. Qual è stato il suo apporto?

Teresa è stata coinvolta fin dall’inizio del progetto, anche se non ha scritto la sceneggiatura, ha dato un contributo enorme raccontando aneddoti che poi abbiamo inserito nel film. Ha condiviso il suo dolore in modo pubblico, trasformandolo in qualcosa di positivo, come i laboratori contro il bullismo e la scrittura del libro. Abbiamo cercato di raccontare il rapporto tra lei e Andrea in modo realistico, soprattutto il fatto che lui, per proteggerla, non le confidasse il suo dolore. Questo è un elemento centrale, sia nella vita
reale che nel film. Questo legame tra madre e figlio che a un certo punto si allenta perché lui non la rende parte del suo dolore, non si confida più, si allontana come per proteggerla.
E lei nel film, come nella vita reale, non si era resa conto del dramma che stava vivendo Andrea. Questa è la cosa più importante che abbiamo raccontato: il loro rapporto vero, il fatto che lui non volesse gravare emotivamente su di lei. Motivo per cui non ha chiesto aiuto e si è sobbarcato da solo il peso del bullismo che stava subendo. Poi non ce l’ha fatta, non ha retto.

Andrea viveva in una famiglia apparentemente normale. È importante sfatare il mito che il bullismo colpisce solo le famiglie problematiche?

Assolutamente sì. Andrea viveva in una famiglia serena, una famiglia come tante. Spesso c’è questa idea che il bullismo e la violenza esistano solo in contesti borderline, ma in realtà permeano tutti i livelli della società. Il bullismo omofobico che Andrea subiva non era legato a una sua dichiarata identità di genere o orientamento sessuale, ma era violenza fine a sé stessa. Questo è un punto centrale del film. Nella realtà, come nel film, non c’è un momento in cui è chiaro quale sia l’identità di genere o l’orientamento sessuale di Andrea; però la violenza, il bullismo che subiva era di stampo omofobico, senza che lui avesse mai detto di essere gay. Molti ragazzi non si rendono conto, a quell’età, delle conseguenze delle loro azioni delle loro parole. Nel film c’è un momento, secondo me importante: quando Cristian e Andrea si ritrovano al liceo. Per Cristian è come se non fosse successo niente, mentre per Andrea è un incubo che continua.

Una scena di Il ragazzo dai pantaloni rosa

«L’approccio che ho in tutti i miei lavori, e che ho apprezzato anche nella sceneggiatura, è la mancanza di retorica»

Il film non è giudicante o moralista. Ti sei mai chiesta qual è il limite tra comprendere il disagio di chi spinge un coetaneo al suicidio e una sorta di giustificazione?

L’approccio che ho in tutti i miei lavori, e che ho apprezzato anche nella sceneggiatura, è la mancanza di retorica. È chiaro che c’è una vittima e un oppressore, ma non ci sono buoni o cattivi a priori. Raccontare l’animo umano, anche la violenza, non significa giustificare, ma capire il contesto e le motivazioni. Christian, l’antagonista, non è un mostro, ma una persona reale con motivazioni sbagliate. Questo approccio è sia interessante artisticamente che utile a livello sociale.

È stato difficile mantenere questo equilibrio?

No, non è stato faticoso. Per me il moralismo non ha senso nel racconto di storie vere, e questo è uno dei motivi per cui faccio cinema. Il film prende chiaramente il punto di vista di Andrea, ma cerchiamo di raccontare in modo autentico il suo conflitto, anche quello con Christian. Gli adolescenti, come Andrea, fanno errori, a volte ingenui, come quando lui racconta a Christian di aver bagnato il letto; ma questo fa parte del processo di crescita. Raccontare queste esperienze in modo autentico è fondamentale.

Sei tornata a raccontare l’adolescenza dopo Zen sul ghiaccio sottile. Cosa ti spinge a esplorare di nuovo questo mondo?

L’adolescenza è un tema che mi appassiona. Le storie di formazione sono il mio territorio, mi piace lavorare con attori giovani. Durante l’adolescenza, l’accettazione dei coetanei è fondamentale per la costruzione dell’identità. Gli adolescenti vivono tutto in maniera amplificata, fanno tanti errori, e questo rende i loro personaggi interessanti da raccontare. Questo film è un invito all’empatia, al rispetto per gli altri, e cercavo di fare un film vitale sulla vita di Andrea, anche se tragicamente lui non c’è più.

Margherita Ferri Festa Cinema Roma
Margherita Ferri

«Sul set si è creato un ambiente molto accogliente, ed era fondamentale per me creare uno spazio rispettoso per tutti»

Il film è già presentato al Giffoni film festival e proiettato in anteprima ad Alice nella Città…

Abbiamo presentato tre clip al Giffoni mentre stavamo ancora montando il film. La vera prima è ad Alice nella città, alla Festa del Cinema di Roma. Al Giffoni è stato un momento speciale, i ragazzi presenti hanno raccontato le loro esperienze di bullismo, ed è stato molto emozionante.

La canzone canta Ancora di Arisa sembra scritta per il film. Sembra la lettera di addio di Andrea a sua madre. Come è nata questa collaborazione?

È successo tutto per coincidenza. Il produttore aveva chiesto ad Arisa un brano prima ancora che iniziassimo a girare. Lei ha tirato fuori una canzone scritta dieci anni fa per sua madre, che è diventata la colonna sonora del film. È una di quelle coincidenze che ti fanno capire che questo progetto era sotto una buona stella.

Claudia Pandolfi è una donna vulcanica. Com’è stata l’energia sul set?

Sul set c’era una grande armonia, un forte coinvolgimento emotivo da parte di tutti. Samuele, il protagonista, è un ragazzo straordinario e ha dato tutto sé stesso. Claudia, che interpreta la madre, è stata fantastica: non solo come attrice, ma anche come persona. Ha un grande rispetto per il lavoro di tutti ed è incredibilmente disponibile, soprattutto con gli attori più giovani. Sul set si è creato un ambiente molto accogliente, ed era fondamentale per me creare uno spazio rispettoso per tutti.