Michela Giraud a Cortinametraggio il coraggio di essere se stessa

Michela Giraud, stand-up comedian, regista e sceneggiatrice di successo, con un’esperienza di vita intensa, racconta la sua visione di Roma Nord, le difficoltà del vivere con una persona con autismo e la sua lotta per accettare le diversità nel suo spettacolo “Mi hanno gettato in mezzo ai lupi e ne sono uscita capobranco”

Laurea di primo e secondo livello in storia dell’arte. Master in drammaturgia all’Accademia Nazionale di Arte Drammatica Silvio D’Amico e poi diventa una stand up comedian. In teoria doveva essere una persona seria, col “posto fisso” alla Zalone. È diventata regista e sceneggiatrice con un’opera prima, Flaminia, che ha riscosso un grandissimo successo di pubblico e di critica. A Cortinametraggio, Michela Giraud è in una delle giurie per assegnare premi ai corti in concorso.

Michela Giraud, credits Anna D’Agostino, Cortinametraggio

«Ci vuole coraggio a vivere e anche a vivere non facendo quello che vuoi. Io ho avuto coraggio, ma anche la fortuna di poter fare quello che volevo»

Ma dove si trova il coraggio di salire all’improvviso sul palco di una stand up comedy? Un mondo più caustico della comicità…

In realtà sono sempre stata un po’ cazzara. Ma vengo dal contesto borghese, quello che ti impone la serietà, una certa linea di condotta; gli studi, la “sicurezza” del posto fisso. E io ho cercato di adeguarmi a quello che era il mio ambiente di riferimento.

Poi mi sono rotta le palle perché non ci riuscivo e mi sono detta: ho la libertà di poter fare quello che voglio, perché devo costruire un futuro su una cosa che non mi appartiene? Il tempo, secondo me, è poco e, in un mondo in cui si fatica a fare tutto quello che si vorrebbe, se devi sacrificare il tempo libero, tanto vale farlo con qualcosa che ti piace.  È vero, una stand-up comedian è diversa da un comico. In pochi colgono questa sfumatura. Di base, a me piace sempre considerarmi come un pagliaccio, perché chi fa ridere la gente non si deve prendere sul serio. Non deve essere uno che si mette sul pulpito, ma deve essere uno storyteller. Ad essere una stand-up comedian ci vuole coraggio, sì, ma ci vuole coraggio pure a fare due figli, essere mollati dal marito o dalla moglie e crescerseli da soli. Ci vuole coraggio a vivere e anche a vivere non facendo quello che vuoi. Io ho avuto coraggio, ma anche la fortuna di poter fare quello che volevo. Se fossi stata frustrata, in una condizione che non era la mia, avrei vissuto una vita da cui scappare. Invece non devo scappare da nulla perché questa vita l’ho scelta io.

Michela Giraud, credits Anna D’Agostino, Cortinametraggio

«Sicuramente molte più persone ci si rivedono se racconti cosa significa essere un po’ un pesce fuor d’acqua»

A Cortinametraggio c’è un corto in concorso che parla di Roma Nord. Ma quanto è diventato uno stereotipo Roma Nord? 

Io l’ho usato molto: per dileggio, perché era l’ambiente che ho voluto rovesciare, perché ne vedevo i limiti, e ho raccontato Roma Nord dal mio punto di vista.

È un contesto dove c’è chi ci vive lo stesso, ma è come se urlasse chiedendo di essere capito. È un contesto che sa essere molto meschino, molto poco illuminato, dove chi vuole fare quel salto di vita in più ha delle difficoltà. Se sei una persona che ha un minimo di profondità, se guardi la realtà con occhio critico, e vivi in un ambiente molto limitato come quello, ne vedi l’ironia. Per me Roma Nord ha questa funzione e io la racconto perché è il mondo dal quale vengo. Io non sono scappata, l’ho ribaltato.

Ma bisogna stare attenti a cosa racconti. Se parli di Roma Nord per celebrare o raccontare un ambiente, alcune persone vi si possono ritrovare, altre no. Sicuramente molte più persone ci si rivedono se racconti cosa significa essere un po’ un pesce fuor d’acqua, perché di base Roma Nord è un ambiente che ti impone uno standard di perfezione. E può essere Roma Nord, Milano o Cortina. 

Cosa significa essere la sorella di una persona che ha una forma di autismo?  Come si vive? 

È una vita particolare, è una vita da eterno secondo. 

Michela Giraud, credits Anna D’Agostino, Cortinametraggio

«Ma quando mi fermo a ragionare, vedo le risorse che ogni essere umano ha e questo è ciò che maggiormente mi arricchisce»

Si hanno sensi di colpa? 

Molti, perché vorresti che l’altra persona avesse le tue stesse opportunità, vivesse quello che vivi tu, vorresti condividere. Vorresti vedere nei suoi occhi le stesse emozioni, ma questo non può avvenire. È un aspetto della vita con cui o fai pace o ti tormenta. Quindi sì, hai molti, molti, moltissimi sensi di colpa.

Pensi di essere quella fortunata? 

Non lo so. 

E se lei fosse fortunata da avere te? 

Non lo so. Credo che la cosa più giusta sia accettare questa situazione, ma accettare è molto difficile. Forse, in fondo, non ci si riesce mai e la vita diventa una rincorsa a lenire quel vuoto, quel senso di ingiustizia, ma che in realtà è la vita. Non sai quanto vorrei che quello che accade a me accadesse anche a mia sorella, che uscisse con gli amici, che avesse una sua autonomia. 

Le persone con disabilità sono molte più di quanto non si creda, ma essendo noi più numerosi, cerchiamo di uniformare il loro modo di vivere al nostro; senza pensare che loro hanno un’altra realtà. L’errore che commettiamo è quello di applicare i nostri processi e i nostri criteri alla loro mente, senza pensare che la loro mente funziona in un’altra maniera. Questa è una cosa con la quale non farò mai pace.

Ma è così e, una volta che si accetta questo, si riesce a vivere con meno dolore. Il problema è che quel passaggio di accettazione a volte non arriva mai. Ed è anche quello che racconta, per esempio, un corto che ho visto qui. Non sai le volte che vedo genitori frustrati,  arrabbiati, infelici nei confronti di un figlio o una figlia che vorrebbero fosse come loro avevano pensato. Ma la vita non è questo.  La vita è accettare che ci sono persone che hanno una diversità e sono se stesse in un’altra maniera. Ma fintanto che si cercherà di uniformare, omologare le persone con disabilità a quella che noi consideriamo normalità, vivremo una vita infelice.

Io l’ho vissuta questa profonda infelicità e a volte, in certi momenti della mia vita, la vivo ancora. Ma quando mi fermo a ragionare, vedo le risorse che ogni essere umano ha e questo è ciò che maggiormente mi arricchisce. La vita è un’accettazione di quello che accade e basta. 

Michela Giraud, credits Anna D’Agostino, Cortinametraggio

«Forse non ho mai imparato, però è la verità. Non sempre si riesce ad accettare o a reagire alle cose che accadono»

Mi hanno gettato in mezzo ai lupi e ne sono uscita capobranco. È il titolo del tuo ultimo spettacolo. Un titolo autobiografico…

Sì, nel senso che, quando succedono delle cose, è importante non subirle e reagire. Non sempre ho reagito.

Quando hai imparato? 

Forse non ho mai imparato, però è la verità. Non sempre si riesce ad accettare o a reagire alle cose che accadono. Ma percepire l’infelicità può essere il primo passo per poi far scaturire una reazione.

Io so reagire con aggressività: è il lato negativo della mia personalità. Tutti noi abbiamo anche dei lati oscuri. Utilizzare l’aggressività come unica reazione non è bene. Ma la forza, la grinta, la decisione, sono le qualità che mi hanno aiutato a coprire la fragilità. È ciò di cui parla Mi hanno gettato in mezzo ai lupi e ne sono uscita capobranco: di cose che accadono nella vita e che spesso non riusciamo a gestire. E, alla fine, ammettere di non saperle gestire è la cosa che ci libera.

Se ti dicono «devi essere così» e non lo sei, soffrirai. Se ti dicono «devi reagire» ma non ce la fai, soffrirai. Allora devi dire: io adesso non riesco, ma ce la farò. E poi però ti impegni per farcela. Nel momento in cui ti lasci andare, allenti la tensione nel tuo corpo e nella tua testa,  smetti di dover essere sempre performante. Oggi siamo arrivati al punto che c’è la performatività anche nel dolore. Anche la nostra sofferenza è diventata un contenuto da condividere. Ma non in senso umano.