Tra gli invitati di Maddalena Mayneri alla 20esima edizione di Cortinametraggio, il Festival di corti più importante d’Italia che si svolge a Cortina dal 13 al 23 marzo, c’è il regista e sceneggiatore Pippo Mezzapesa.
Dopo anni di corti e documentari, premiati con David di Donatello e Nastri d’Argento, Mezzapesa arriva al lungometraggio nel 2018 con Il mio bene. Seguono due successi come Ti mangio il cuore, nel 2022 con Elodie, e la miniserie Qui non è Hollywood nel 2024.

«Per chi fa corti, la durata non deve essere un limite, ma un’opportunità di dare tutto in poco tempo»
Ma cos’è un corto per Pippo Mezzapesa?
Il corto è una palestra, ma anche un modo per comprendere il proprio stile di racconto e il rapporto con gli attori. Credo che un buon corto debba avere indipendenza e peculiarità, senza tentare di condensare in pochi minuti ciò che andrebbe sviluppato in un film. Per chi fa corti, la durata non deve essere un limite, ma un’opportunità di dare tutto in poco tempo; deve cercare di stupire, essere incisivo e fare della brevità la sua forza.
Cosa manca ai cortometraggi italiani rispetto a quelli internazionali?
Credo che manchi sempre meno. Finalmente vedo corti di grande fattura in Italia, con investimenti ben utilizzati. La differenza principale è che all’estero si dà più dignità al cortometraggio: qui a volte sembra che si voglia dimostrare di saper girare un lungometraggio invece di concentrarsi sulla narrazione breve.
Qui non è Hollywood. Il caso di Avetrana aveva avuto una eco così grande, che la serie rischiava di deludere le aspettative. Cosa rende una storia adatta al cinema?
Avetrana è stata una serie che è nata prima di tutto dal grande desiderio che avevo di raccontare questa vicenda: una vicenda cruda, ma anche drammaticamente umana. È il racconto di un terribile dramma familiare che si ripercuote su una comunità. È esattamente l’esempio di ciò che deve contenere una storia per il cinema o per la serialità: un forte elemento umano. Mi interessa raccontare persone, non solo personaggi, e analizzare come un evento possa stravolgere gli equilibri di un individuo e del contesto in cui vive. Per trovare buone storie bisogna saper osservare la realtà e affrontarla visceralmente.
Per me è un processo abbastanza istintivo, anche incontrollabile. Anzi, a volte, come in questo momento, mi trovo ad averne anche troppe e a rischiare di perdermi nelle storie. A un certo punto bisogna concentrarsi su una, farla propria e percorrerla fino alla fine.

«Affondare nelle vicende, sentirle, vivere, credo che sia la cosa che poi fa la differenza nella trasposizione»
Nota dolente: mancano sceneggiature valide. Cosa pensi dello stato attuale della scrittura cinematografica?
Oggi ci sono ottime scuole di sceneggiatura, alimentate anche dalla serialità che vive molto di scrittura. Credo che la qualità stia migliorando, grazie anche alla diffusione delle serie tv. Affondare nelle vicende, sentirle, vivere, credo che sia la cosa che poi fa la differenza nella trasposizione.
Legge sul tax credit peggiore della precedente. Produzioni ferme. A farne le spese sono soprattutto il cinema indipendente e i giovani che si affacciano a questo mercato…
L’analisi l’hai già fatta… Il tax credit doveva aiutare il cinema indipendente, ma di fatto avvantaggia i grandi. Molti esordienti fanno fatica e il rischio è perdere una generazione di giovani narratori, impoverendo il settore. Bisognerebbe trovare modi concreti per supportare i nuovi autori.
Produrre, Consumare Morire e Settanta sono due tuoi atti di denuncia. Purtroppo si torna a parlare di censura. Il tuo rapporto con censura?
Con Avetrana ho subito una sorta di amputazione del titolo. È stata una censura preventiva, fatta senza aver visto la serie. Credo non si debba avere paura di fare i conti con la realtà, raccontandola, e che attraverso l’arte si possa avere la possibilità di analizzare il mondo in cui viviamo. E credo non ci debba essere alcun limite in questa analisi. Il rischio più grande che si corre, però, è che già in fase di scrittura si instaurino dei processi di autocensura. Ed è la cosa più pericolosa per uno che fa il nostro lavoro, soprattutto quando si è molto giovane.

«È fondamentale avere produttori e piattaforme che credano nel tuo sguardo. […] Questo tipo di supporto è essenziale»
Quanto contano i produttori nella libertà creativa?
È fondamentale avere produttori e piattaforme che credano nel tuo sguardo. Avetrana è stata possibile grazie alla fiducia di Groenlandia e Disney, che si sono assunti un grande rischio. Questo tipo di supporto è essenziale per realizzare opere autentiche.
Hai detto che stai lavorando a tante storie. Progetti?
Tanti.
Cinema, televisione…
Entrambi.
Hai previsto un ritorno al documentario?
Forse… a breve si capirà tutto.