Sara Ciocca a Cortinametraggio: la consapevolezza essere felici coltivando le proprie passioni

Un percorso cinematografico iniziato da bambina sul set de "Il miracolo" di Niccolò Ammaniti, scoprendo una forte passione per la recitazione. Il suo è un talento coltivato con impegno e determinazione, affrontando ogni sfida a testa alta

Classe 2008, Sara Ciocca è sul set da quando, a dieci anni, entra nel cast de Il miracolo di Niccolò Ammaniti. Seguono La Dea Fortuna di Ferzan Ozpetek, Il giorno più bello del mondo di Alessandro Siani, America Latina dei fratelli D’Innocenzo; e ancora Nina dei lupi, accanto a Sergio Rubini, ruolo per il quale ha vinto il premio Kineo come miglior rivelazione alla Mostra di Venezia del 2023. È su Netflix con Il ragazzo dai pantaloni rosa di Margherita Ferri. È già al lavoro sul set di Invisibili di Andrea Principato.

Tutti dicono che Sara abbia un talento naturale. Sara mi guarda, sorride con i suoi occhi azzurro chiaro su un viso di porcellana, con una luce che ricorda le Madonne di Raffaello. Riflette e poi…

«Non credo nel talento naturale. Penso che sia una base su cui bisogna lavorare. Quello che ci piace fare è ciò che abbiamo scoperto di noi stessi. Il talento lasciato a se stesso viene spesso sopravvalutato; va curato, gestito e coltivato con cautela. Ho avuto la grande fortuna di cominciare da bambina. Questo mi ha permesso di sperimentare, riflettere e coltivare le mie passioni con più calma e consapevolezza. Ringrazio soprattutto i miei genitori e chi mi ha dato questa opportunità».

Sara Ciocca
Sara Ciocca

«Penso che la felicità stia nel riconoscere cosa ci rende veramente felici e nel saper ascoltare noi stessi»

Come vivi la doppia vita di liceale e attrice?

Il liceo e i miei coetanei sono la mia vita reale, la mia ispirazione. Sul set si parla di cinema e arte, ma a scuola si parla della vita vera, della crescita, dell’intimità. Trovo sia una cosa bellissima parlare tra donne. Osservo tutto e lo immagazzino, per poi usarlo quando recito.

Ti manca qualcosa della vita normale dei tuoi coetanei?

Non avendo mai vissuto diversamente, non sento la mancanza di qualcosa. Penso che la felicità stia nel riconoscere cosa ci rende veramente felici e nel saper ascoltare noi stessi. Imparare ad ascoltarci è difficilissimo. Io non mi ascolto per niente, questo è un problema.

La prima volta su un set?

È stato un giorno qualunque. Ero sul set de Il Miracolo di Niccolò Ammaniti. Era un mondo affascinante, magico, organizzato. Ricordo la luce, la stessa luce che ho visto quando da bambina scrivevo monologhi per i miei nonni, a Natale e a Pasqua, e volevo salire su una sedia perché ero piccolina. Quella sedia era il mio palcoscenico e quella luce probabilmente è la luce che oggi mi tiene in vita.

Sara Ciocca
Sara Ciocca

«Ogni giorno è una sfida. Più troviamo difficoltà e dubbi, più cresciamo»

Un ruolo che ti ha messo in difficoltà?

Ogni giorno è una sfida. Più troviamo difficoltà e dubbi, più cresciamo. Mio padre mi ha insegnato a fare l’orto: piantare un pomodorino vuol dire attendere che cresca, che germogli, che fruttifichi. Questo mi ha insegnato la pazienza e mi ha dato una calma interiore per affrontare le sfide.

All’Off Off Theatre di Roma hai portato in scena l’omicidio di Saman Abbas. Molti tuoi coetanei, studenti come te, sono italiani senza cittadinanza…

Sono fortunata, ho tutto. Ma vedo la fame, l’indifferenza, il cambiamento climatico e l’ignoranza come i problemi più grandi. Conosco un bambino somalo, Mahmood, che vive alla stazione Termini con la madre. A volte gli porto qualcosa da mangiare. Ha una voce incredibile, mi ricorda Stevie Wonder, e lui lo conosce! Questa cosa mi commuove perché un bambino che conosce Stevie Wonder ha dei sogni. Nonostante tutto, guarda avanti con speranza. Il mio sogno è aiutarlo e, in futuro, fare qualcosa di concreto per gli immigrati, magari un centro d’accoglienza. Penso a quanti rischiano la vita in mare, sapendo che le probabilità di non farcela sono altissime, e a quelli che muoiono durante il viaggio o vengono abbandonati. Il film Io Capitano di Matteo Garrone ha mostrato questa realtà cruda, che spesso ignoriamo.

Sara Ciocca, ph. Anna D’Agostino, Cortinametraggio

«Durante le riprese ho capito l’impatto sociale del film, soprattutto in una scena di bullismo»

È ora su Netflix Il ragazzo con i pantaloni rosa. Qual è stata la tua reazione leggendo il copione?

Sono state intense: la carta ha un potere unico di trasmettere emozioni. La vera profondità del film l’ho capita durante le riprese, in particolare nella scena in cui Andrea subisce violenza fisica. Lì ho percepito l’importanza di sensibilizzare le scuole su questo tema. Purtroppo vedo apatia da parte di chi dovrebbe educare e motivare i ragazzi, portando a demotivazione e perdita di passione.

Ti aspettavi una simile opposizione al film?

L’opposizione è già nella mancanza di dialogo tra professori e studenti. Appena suona la campanella gli studenti vanno via, manca empatia e quel sentimento che un insegnante dovrebbe avere. Durante le riprese ho capito l’impatto sociale del film, soprattutto in una scena di bullismo. Questo tema va affrontato nelle scuole, ma l’apatia di molti insegnanti porta i ragazzi a perdere passione e stimoli.

Sara Ciocca
Sara Ciocca, ph. Anna D’Agostino, Cortinametraggio

«Lo sguardo critico e l’attenzione ad ogni singola cellula del corpo hanno maturato in me una grande insicurezza»

Sei nella giuria Young di Cortinametraggio. Hai mai pensato di realizzare un corto?

Mi piacerebbe, ma il mio sogno più grande è realizzare un lungometraggio. Ho bisogno di più tempo per raccontare storie.

Hai fatto molti anni di danza classica. Quanto ha inciso sulla tua formazione, sul tuo carattere?

La danza classica, pur offrendomi disciplina e determinazione, ha anche portato con sé un grande senso di critica nei confronti del fisico. Vedermi “sbagliata” esteticamente si riversava sulla mia interiorità, influenzando negativamente la mia autostima e facendomi sentire inadatta, grassa o gonfia. Purtroppo, questi sentimenti negativi mi hanno portato a fare scelte estreme e a non amarmi, a sentirmi sempre sbagliata e a cercare l’approvazione degli altri invece che la mia. Lo sguardo critico e l’attenzione ad ogni singola cellula del corpo hanno maturato in me una grande insicurezza.

Qual è il tuo rapporto con la fede?

Da bambina ero molto credente, scrivevo poesie a Dio e recitavo il rosario. Ora mi rendo conto che spesso mi rivolgo a Dio solo nei momenti di difficoltà, ed è un difetto dell’ego. Tuttavia, la spiritualità non mi ha mai abbandonata. Ho scoperto un legame profondo con Dio attraverso la musica gospel, jazz e soul.