Ci sono luoghi in cui il tempo sembra respirare piano, rallentare i battiti e restituire silenzio. Cortina d’Ampezzo è uno di questi. Ma non quella delle passerelle invernali o delle foto patinate. È la Cortina che si ascolta nel crepitio del legno, che si assapora nel latte appena munto, che si contempla nel tramonto che incendia le Dolomiti. È in questa dimensione più raccolta e profonda che si svela un’idea di viaggio diversa, fatta di materia e memoria, di estetica e radici. Un viaggio che ha tre punti cardinali: Hotel de Len, El Brite de Larieto e SanBrite.
Cortina: la bellezza sospesa tra le stagioni
Ogni stagione a Cortina ha il suo respiro. L’inverno sussurra tra i boschi innevati, dove il passo sprofonda nel silenzio. La primavera riapre i sentieri d’acqua, risveglia le marmotte e i prati. L’estate è tutto un fermento di trekking, pascoli e cieli altissimi. L’autunno, infine, è un trionfo di larici dorati e riflessi nei laghi immoti. Il filo che unisce ogni stagione è la luce: quella rarefatta dell’enrosadira, quando le cime si tingono di rosa, come in un sogno di pietra.
E in questi scenari, c’è una Cortina che non si lascia incorniciare, fatta di gesti quotidiani, di materia viva e paesaggi interiori.
Hotel de LEN: dove il soggiorno diventa esperienza di benessere
Nel cuore del paese, là dove si incrociano vicoli e vetrine, sorge l’Hotel de LEN. Il nome, in ladino, significa “di legno”. Qui il legno non è solo una scelta estetica, ma un elemento vivo, che protegge, purifica, racconta. Ogni dettaglio è pensato per nutrire il benessere: dai pannelli che filtrano l’elettrosmog alle spa con vista, dalle camere ovattate di silenzio ai piatti che reinterpretano la tradizione con levità e gusto. È un lusso che non ostenta, ma avvolge. Un lusso che rigenera.
Il vero segreto del de Len è l’armonia tra etica e bellezza. Qui la sostenibilità non è un’aggiunta, ma il punto di partenza: energie rinnovabili, materiali di recupero, valorizzazione del territorio. Anche il ristorante — aperto tutto il giorno, dalla colazione ai cocktail serali — è un omaggio discreto alla cucina ampezzana.

A ogni angolo si sente l’incontro tra cultura alpina e innovazione italiana. Gli arredi raccontano Cortina, come una porta antica trovata in una vecchia falegnameria, con inciso il numero dell’anno e le iniziali dei Re Magi, segno delle benedizioni montane.
E poi la vista, che da qui è qualcosa che si deve vivere nel susseguirsi delle stagioni: con la neve, il prato verde d’estate, i colori delle foglie in autunno.
La spa è un mondo a parte: uno spazio scenico. Di giorno invita al silenzio, nel pomeriggio accoglie chi rientra dalle piste, la sera si trasforma nella “spa by night”, con candele, massaggi, cena privata: tutta per due. «Eppure – dice ridendo l’Area Hotel Manager – ancora nessuno ha fatto una proposta di matrimonio. Ma è il posto perfetto!».

Ogni dettaglio al De Len racconta un gesto: dallo yoga del mattino alla borraccia in camera da riempire con acqua fresca, perché il benessere, qui, è rituale condiviso. Niente plastica, solo ceramiche lavabili e ricaricabili per gli amenities. «Il motto è: non siamo plastic-free, ma plastic-friendly – e cioè consapevoli».
L’approccio è artigianale, ma non nostalgico. Il De Len è un hotel vivo, che la sera si trasforma, grazie anche agli spazi modulari tra salotti e caminetti. Eventi privati, cooking class, piccole esperienze locali: tutto qui è cucito su misura. Gli ospiti possono imparare a fare i casunziei con lo chef, intagliare il cirmolo con un artigiano o sorseggiare cocktail a base di yogurt di capra della vicina San Vito di Cadore. Il ristorante, poi, è un omaggio discreto alla cucina ampezzana. «Non vogliamo che il nostro hotel sia uguale a quello di Milano, Parigi o New York. Vogliamo che tu, entrando, dica: sì, sono a Cortina. In un luogo che ha un’anima» – racconta Carla Medri, Area Hotel Manager del De Len, con il tono appassionato di chi crede profondamente nel progetto.

Dormire bene, respirare meglio. Qui vacanza significa tornare a casa con qualcosa in più.
Le camere sono dotate di un sistema che neutralizza le onde magnetiche, una tecnologia, studiata in Svizzera che favorisce un sonno profondo e rigenerativo: dispositivi che riducono l’inquinamento elettrico, rendendo le stanze acusticamente e bioenergeticamente pulite. E poi c’è il legno. Non solo per estetica: il De Len è costruito quasi interamente con legno rigenerato – cirmolo, abete, rovere antico – proveniente da vecchie stalle e case della valle.
In alcune camere si riconoscono ancora i segni degli zoccoli. La scelta non è casuale: i legni principali, cirmolo e abete, sono noti per le proprietà balsamiche e rilassanti. In alcune stanze, appena apri la porta, senti ancora l’odore del cirmolo anche dopo due anni. «È il legno più profumato e morbido che esista. E ha una memoria».
Tutto al de Len parla di continuità tra cultura alpina e innovazione, un laboratorio dove la montagna diventa gesto quotidiano.

El Brite de Larieto – La stalla che diventa racconto
Qui, a quota 1664 metri, la montagna si fa casa. El Brite de Larieto non è solo un agriturismo: è una stalla del 1932 ancora viva, vissuta, dove ogni mattina si munge il latte e si sente l’odore dell’alba. Il padre di Riccardo Gaspari lavora ancora lì, insieme ad altri due, mantenendo intatta la manualità contadina. Le capre non sono solo un’immagine bucolica: servono per il latte, a volte per la carne. Il maiale è raro, quasi una riserva sacra, da usare con parsimonia per i piatti dell’agriturismo.
La produzione è artigianale fino all’osso: formaggi vaccini in continua evoluzione, affumicati alla piastra o stagionati per dodici mesi, affinati con erbe di Pasquo, pepe, mela e mandorla. La filosofia è semplice ma rigorosa: non c’è standardizzazione, ogni ciclo è unico, e i formaggi cambiano volto come cambiano le stagioni. Ogni volta è una sorpresa, ogni volta bisogna chiedere “cosa c’è oggi”.
E poi c’è la bellezza ruvida di quel luogo: la struttura ristrutturata con legni riciclati, le porte antiche recuperate, la neve che rende tutto ovattato. Non è un’operazione di design, ma una necessità emotiva, una continuità con le radici. È un luogo dove si respira ciò che si è perso: una cucina che non ha bisogno di essere reinterpretata perché è ancora viva.

SanBrite – L’evoluzione, senza perdere l’odore del fieno
Poco distante, la stessa famiglia Gaspari ha fatto nascere SanBrite: un ristorante che prende le radici di El Brite e le spinge in avanti, verso un’idea di cucina rigenerativa. È qui che l’esperienza di Riccardo con Bottura – ha lavorato nella sua brigata all’Osteria Francescana – si intreccia con la stalla di famiglia, fondendo intuizione gastronomica e filiera corta. Accanto a lui, Ludovica Rubbini ha creato una sala che è insieme accoglienza e narrazione. Insieme per un ristorante con una stella Michelin e una stella verde, simbolo della sostenibilità che permea ogni scelta.
I maiali, pochi e preziosi, sono utilizzati con cura. La carne, il latte, gli yogurt: tutto proviene dalla stessa terra, dallo stesso respiro. Anche l’arredo riflette questa coerenza: stube austriache reinterpretate, legni che profumano di passato, terrazze soleggiate anche d’inverno, matrimoni civili celebrati con la montagna sullo sfondo.
I formaggi qui non sono solo serviti: sono raccontati. Cambiano, evolvono, si mischiano con erbe, mele, mandorle, e ogni affinatura diventa una piccola sperimentazione. Riccardo stesso sa fare il formaggio: non è solo uno chef, è un artigiano che si sporca le mani. SanBrite è il luogo dove la materia prima si trasforma in gesto poetico, ma senza mai perdere il contatto con la realtà, con il latte caldo appena munto, con il lavoro di Flavio, il padre di Riccardo, che continua a scendere in stalla ogni mattina.

Due anime, una stessa radice
El Brite e SanBrite sono l’una il respiro dell’altra. La prima è la cucina delle origini, quella che accoglie chi arriva con gli scarponi ai piedi e la fame buona di chi ha camminato. La seconda è la tavola della visione: tecnica, poetica, profondamente alpina. Insieme, raccontano una montagna viva, che non ha paura di cambiare pelle. E come la neve che ogni anno cade diversa, anche qui nulla resta uguale. Si stagiona, si affina, si fermenta. Si conserva la memoria, ma si osa anche oltre. Al ritmo del Brite, la “casa del pastore”.
Crediti immagine in evidenza: Hotel de LEN