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La nuova era di Dardust è fatta di musica classica, brutalismo e pennellate veloci

Dardust racconta Urban Impressionism, l’ultimo album che esce in versione Deluxe il 7 marzo, parlando della sua visione musicale, tra i nonluoghi di Marc Augé e la rinascita del terzo paesaggio

In un universo acustico affollato di miliardi di release urban e pop, Dardust ha deciso di percorrere un’altra strada, andare al cuore della musica mostrandosi vulnerabile: «Fare Urban Impressionism è stato formativo, faticoso. Ho sempre pensato di aver bisogno di tante sovrastrutture, forse per nascondermi, invece vedo che questo disco sa arrivare veramente in profondità, si insinua piano in chi lo ascolta e quando mette un mattoncino non si toglie più».

Così comincia la chiacchierata con Dardust, nome d’arte di Dario Faini: pianista, produttore e compositore, hitmaker che come producer ha collezionato 100 Dischi di Platino e due vittorie del Festival di Sanremo. Lui che nel corso della nostra intervista si definisce a buona ragione il re Mida del pop e che ha lavorato con Geolier, Elodie, Marco Mengoni, per citarne alcuni, in questo momento storico dominato dal rap ha deciso di provare a dare nuova linfa alla musica classica contemporanea in Italia. E, considerate le premesse, potrebbe persino riuscire in questa missione, apparentemente, impossibile.

Il quinto album in studio di Dardust, Urban Impressionism, è stato pubblicato lo scorso novembre 2024 e il 7 marzo 2025 si espande nella versione Deluxe con 6 nuovi brani, di cui 4 inediti, anticipati dalle recenti uscite di Pavane Floue , New York 17.3.24 feat. Ze in the Clouds e Hazey Romance. Da sempre il paesaggio sonoro è stato di ispirazione per gli album di Dardust, che con i primi tre dischi – 7BirthS.A.D Storm and Drugs – ha percorso l’itinerario Berlino, Reykjavík e Londra, per approdare poi al Giappone con Duality (2022). Con Urban Impressionism, sono sempre le atmosfere della città a parlare, e questa volta è soprattutto Parigi, in due forme: le sue architetture brutaliste e post moderne, l’eredità culturale di quella che è stata la culla dell’Impressionismo. Sono queste le ispirazioni che plasmano la ricerca di Dardust per Urban Impressionism, spogliato di abbellimenti e artifici proprio come l’architettura brutalista, con una composizione a pennellate rapide per cogliere l’attimo, proprio come gli impressionisti. 

Prima di affrontare due date evento in Italia, rispettivamente il 12 marzo tra I Sette Palazzi Celesti di Anselm Kiefer al Pirelli HangarBicocca e il 14 marzo all’Auditorium della Nuvola, l’iconica opera di proprietà di EUR SpA, progettata da Massimiliano Fuksas, Dardust ci ha raccontato l’anima di questo disco. In movimento tra i nonluoghi di Marc Augé, il concetto del terzo paesaggio, le comunità che vivono nei brutalisti Espaces d’Abraxas, il pensiero di Dardust corre veloce quanto le sue dita sul pianoforte, restituendo a chi l’ascolta un’atmosfera, una guida, per capire che c’è qualcosa di più profondo «perché sai» dice lui «musicalmente i pezzi di Urban Impressionism sono solo dei brani al pianoforte». 

Dardust
Dardust, foto di Alessio Panichi

«Arrivare dai palazzi brutalisti alle melodie sembra un passaggio lungo, ma per me è stato più un tornare alle origini di ciò che mi ha portato a fare musica»

Quando è nata in te l’attenzione per l’architettura urbana e i paesaggi sonori e come li hai uniti in musica?

Arrivare dai palazzi brutalisti alle melodie sembra un passaggio lungo, ma per me è stato più un tornare alle origini di ciò che mi ha portato a fare musica. Io nasco in un piccolo paese di provincia vicino a Ascoli Piceno, vengo da una zona di periferia in cui ci si sente spesso abbandonati ai margini, fuori dal mondo. Questo ha creato in me la voglia di superare la distanza immaginando cose: ho sviluppato la creatività proprio per colmare questo vuoto. 

Da sempre gli artisti che vengono dalle periferie hanno saputo rinnovare il linguaggio dell’arte: penso ai graffiti di Banksy, all’hip-hop, all’architettura. Usare i colori del pianoforte per dipingere questo bianco e nero che è la vita ai margini mi ha portato nella patria dell’impressionismo che è Parigi, dove poi sono andato a trovare gli scorci brutalisti. I palazzi brutalisti sono palazzi nudi, che hanno i materiali esposti: cemento grezzo, alluminio, ferro. Pochi orpelli. E ho pensato che questo concetto fosse perfetto per un disco in cui ho voluto togliere tutti gli artifici produttivi che mi hanno reso il re Mida del pop: ho eliminato tutto e sono ripartito da zero in questo ambiente spoglio e minimale. 

Raccontaci la nascita di uno dei brani simbolo di Urban Impressionism, Danse (En Plein Air)

Danse (En Plein Air) prende dalle Ballerine di Degas, dall’immaginario impressionista che dipingeva scene di vita ordinaria, creando lo straordinario nell’ordinario, senza andare troppo nel realistico. Quando i lavori di questa corrente ancora non erano compresi, venivano considerati dei semplici schizzi e spesso erano scene catturate all’aria aperta. Io quel giorno ero a Parigi, in questo balcone di una dépendance del Quartiere Latino dove avevo sistemato la tastiera. Da lì ho campionato tutti i rumori della città sotto di me, come se fosse questa grande danza urbana. Poi l’ho fatta dialogare con il pianoforte ed è diventata l’impressione proprio di quell’esatto momento. E così è stato in maniera simile anche per altri brani: Alba è un quadro catturato di primissimo mattino, nel momento in cui questa luce arancione arriva sui palazzi grigi di cemento. Golden Cage affronta invece il tema di uscire dalla propria gabbia dorata e di andare in una zona che per te sia più rischiosa, per capire chi si è veramente. Ogni brano ha un’impressione diversa.

Dardust, foto di Alessio Panichi

«Durante le mie esplorazioni mi ha incuriosito molto il concetto del terzo paesaggio, che poi è ciò che vorrei trasferire all’interno delle date visual»

Passando dall’Impressionismo al Brutalismo, i visual dei video musicali sono girati nei luoghi brutalisti dei dintorni di Parigi, da Les Arènes de Picasso a Viaduc de Montigny: come li avete scelti?

Ho fatto ricerche e scoperto sia palazzi già iconici che perle nascoste come Espaces d’Abraxas o Les Choux de Créteil. Abbiamo fatto una mappa di queste opere brutaliste e una per una le abbiamo vistate, sia nella prima parte del lavoro mentre scrivevo il disco con Ze in the Clouds, poi con tutto il team creativo per fare i video.

Ci siamo fatti aprire le case, siamo saliti in cima ai palazzi, abbiamo conosciuto tanti abitanti di questi luoghi: persone umilissime che ci hanno accolto con curiosità. Luoghi meno abbienti o fatiscenti, con un fascino loro. Alcuni parlano del fascino della rovina come se venisse dal sublime dello Sturm und Drang, invece io ci vedo il fascino di qualcosa che poteva essere e non è diventato. Una promessa che non è stata mantenuta o addirittura qualcosa che può ancora divenire. 

La storia più interessante è proprio il concetto di come sono nati questi agglomerati urbani che dovevano essere per le classi più povere e che avevano la promessa di rendere comunitario lo spazio per popolazioni diverse. Oggi sono simili al concetto dei nonluoghi di Marc Augé, considerati senza storia, senza tradizione, degli agglomerati giovanissimi e multiculturali. Secondo me però è da qui che è possibile far nascere qualcosa di nuovo.

Come trasferirai queste sensazioni nei tuoi concerti live, da Milano e Roma fino al tour europeo? 

Durante le mie esplorazioni mi ha incuriosito molto il concetto del terzo paesaggio, che poi è ciò che vorrei trasferire all’interno delle date visual, soprattutto in quella di Roma alla Nuvola Fuksas dove la performance sarà curata dal visual designer Franz Rosati. Qui l’idea è quella di raffigurare la natura improvvisa che si va a riprendere lo spazio tra questi agglomerati, creando spazi verdi in maniera molto abbandonica o, diciamo, molto selvaggia.

Poi sai, i pezzi musicalmente sono solo dei brani al pianoforte: tutto ciò che ci ho costruito sopra concettualmente è una composizione, ma l’output è musica nuda. Nel totale, il concetto più il visual più il piano è pensato per dare al pubblico un’atmosfera, ma magari ognuno sente la propria interpretazione. Però a me piace avere una mappa, un concept che guida la mia creatività. Deve fare la differenza per far capire che dietro c’è qualcosa di più profondo.

Dardust
Dardust, foto di Alessio Panichi

«Ci sono tanti sentimenti nascosti di fronte alla passione per questi monumenti»

Da Urban Impressionism a The Brutalist: secondo te perché oggi siamo tutti ossessionati da questo stile architettonico?

È una cosa che è esplosa molto sui social, io ci sono arrivato da un’altra via però. Noto che questi palazzi enormi, abbandonati, incutono timore e reverenza. Qui è veramente il concetto del sublime nella contemporaneità: perché sono architetture imponenti che generano una sorta di estasi, ma allo stesso tempo incutono timore, proprio perché sono abbandonati. Ci sono tanti sentimenti nascosti di fronte alla passione per questi monumenti.

C’è una città o un luogo che non hai ancora raccontato in musica ma vorresti? 

Beh a me affascina tanto il Brasile, tutto il movimento tropicale Anni ’70: ci sono armonie e colori incredibili. Sono già stato in Brasile, ma ci tornerei per fare un lavoro di questo tipo.