Francesca Valtorta in “30 notti con il mio ex”, una commedia tra cuore e cura

Una carriera che spazia dal cinema alla recitazione al teatro, dando voce a personaggi femminili autentici e complessi. Francesca Valtorta torna a recitare nei panni di Camilla nel nuovo film "30 notti con il mio ex", una commedia che parla di amore, malattia mentale e seconde possibilità

Attrice romana, diplomata al Centro Sperimentale di Cinematografia, Francesca Valtorta ha saputo costruirsi negli anni una carriera tra cinema, televisione e teatro. Dopo gli esordi al cinema con Baciami ancora di Gabriele Muccino e Immaturi – Il viaggio di Paolo Genovese, il grande pubblico l’ha conosciuta in serie di successo come Squadra AntimafiaBraccialetti RossiSacrificio d’amore e Fino all’ultimo battito. Accanto al lavoro su set e palcoscenici – dove è attualmente impegnata con Uno, nessuno e centomila regia di Nicasio Anzelmo – Francesca ha sempre cercato di dare voce a personaggi complessi, capaci di raccontare il presente con autenticità e forza.

Ora torna al cinema con 30 notti con il mio ex di Guido Chiesa, una commedia che la vede interpretare Camilla, la compagna di Bruno (interpretato da Edoardo Leo) alle prese con il ritorno dell’ex moglie Terry, figura centrale per affrontare il tema della malattia mentale e del percorso terapeutico. «Questo film, grazie anche alla spensieratezza e alla delicatezza con cui tratta la tematica, fa un lavoro bellissimo» ha spiegato, ribadendo quanto il cinema possa – e debba – contribuire a raccontare storie di vita reali, ancora oggi spesso circondate da silenzi e pregiudizi.

Francesca Valtorta. Total Look: Dixie Roma

«Non ho una predilezione. L’emozione, l’adrenalina, quella morsa allo stomaco quando si accende la macchina da presa o stai per entrare in scena è la stessa»

Quali ricordi ti legano ancora oggi al Centro Sperimentale di Cinematografia, e quali insegnamenti ritieni siano stati determinanti per il tuo percorso professionale e personale?

I tre anni di accademia al Centro Sperimentale sono stati i più belli della mia vita. Anni di spensieratezza e lavoro, di crescita e di condivisione, di risate e di pianti, anni in cui si è definita la mia identità e in cui si sono cementificate amicizie ancora oggi preziose. Anni in cui il mio sogno si stava realizzando, proprio là dove il cinema italiano era nato. Devo tutto alla mia scuola, ai miei maestri, ognuno con un proprio metodo di lavoro, perché oltre a insegnarmi il mestiere, mi hanno insegnato la libertà creativa, la capacità di non rimanere ingabbiata in un unico sistema di regole di studio.

Sono tornata recentemente al Centro dopo tanti anni, e quando ho oltrepassato la soglia sono stata letteralmente sovrastata da un’ondata di emozioni e di ricordi così forte che non riuscivo a smettere di piangere. Uno dei miei ex insegnanti che mi aveva accolto (e che lavora ancora lì, Vito Mancusi) non sapeva cosa fare per consolarmi! Che ci posso fare? Sono così, un’incredibile romantica!

Quale formato tra cinema, televisione e teatro senti a te più affine, e perché?

Non ho una predilezione. L’emozione, l’adrenalina, quella morsa allo stomaco quando si accende la macchina da presa o stai per entrare in scena è la stessa. Ed è questo ciò che ci tiene legati a vita a questo lavoro. Quello che veramente cambia le cose, per quanto mi riguarda, è il gruppo di lavoro. Il nostro è un lavoro che più di qualunque altro si basa sui rapporti umani, sullo scambio emotivo e ti costringe a passare tantissimo tempo a stretto contatto con i colleghi. Se manca la fiducia e si creano tensioni, il lavoro può tramutarsi in un incubo.

Francesca Valtorta. Total Look: Dixie Roma

«[…] Io non ho fatto nemmeno in tempo ad agitarmi, a rendermi conto. Mi sono buttata improvvisando, senza capire niente di quello che stava succedendo»

La tua carriera è iniziata con Baciami ancora. Ci parleresti di questa tua prima esperienza sul set, e di come sia stato lavorare con Gabriele Muccino?

È stato pazzesco, incosciente direi! Ero ancora al secondo anno del Centro Sperimentale e Francesco Vedovati mi chiamò per un provino (il mio primo provino in assoluto!) per un piccolissimo ruolo. Una volta arrivata, mi disse che Gabriele voleva vedermi anche per un altro personaggio e se potevo prepararmi al volo la scena. Io non ho fatto nemmeno in tempo ad agitarmi, a rendermi conto. Mi sono buttata improvvisando, senza capire niente di quello che stava succedendo. Una settimana dopo mi avevano scelta e mi sono ritrovata catapultata per la prima volta su un set (e di quella portata!). Voglio ringraziare Gabriele per avermi dato questa opportunità unica, e per avermi insegnato il valore delle emozioni in questo lavoro. Non è importante essere tecnicamente perfetti, è importante “esserci”.

Il personaggio di Rachele in Squadra Antimafia ha segnato una tappa importante nella tua carriera. Com’è stato prepararti per un ruolo così intenso e complesso?

Ricordo che andai al provino perplessa. Ho pensato «Ma perché mi vogliono vedere per questo ruolo? Non mi sceglieranno mai». E quindi sono arrivata lì a cuor leggero, mi sono divertita a interpretare questo personaggio così distante da me. E forse è stato questo a risultare vincente. Ma dopo l’entusiasmo iniziale è arrivato il terrore, le riprese sarebbero iniziate a breve e io ero nel panico: «Come farò a parlare in dialetto? Come imparerò a sparare? Come riuscirò a risultare credibile?». Gli incontri preparatori con i registi (Samad Zarmandili e Kristoph Tassin) sono stati fondamentali, mi hanno aiutato piano piano a uscire dall’immagine stereotipata della “Mafiosa” per entrare in quella di un essere umano con delle fragilità, con una solitudine, una rabbia… sentimenti nei quali potevo riconoscermi.

E poi il resto lo ha fatto Catania, dove abbiamo girato: il calore della gente, sentire la meravigliosa musicalità della loro cadenza mi ha proiettato subito in quel mondo. Rachele me la sono cucita addosso piano piano, è stata un’opportunità di lavoro incredibile per me e potete immaginarvi quanto mi sia divertita. Sparare può essere molto catartico!

Francesca Valtorta. Total Look: Dixie Roma

«[…] Ho messo in Carola tutto il mio dolore e il mio amore verso mio papà. Spero di esserci riuscita»

La tua partecipazione in Braccialetti Rossi è stata una delle più amate dal pubblico. Qual è il ricordo più bello legato alla serie, e cosa ti lega invece a questo personaggio?

Sono legatissima al personaggio di Carola, mi sono riconosciuta molto in lei. La sua apparente aggressività nei confronti di Cris, la sorella malata di anoressia, poteva essere fraintesa. Il mio compito era quello di spiegarla al pubblico, perché la conoscevo bene. Mio papà ha avuto un tumore, e io so bene cos’è quell’aggressività, quella delle persone che amano e che non riescono ad accettare di vedere stare male un proprio caro. Aggressività che inconsciamente riversiamo proprio verso la persona malata, come se la incolpassimo di farci soffrire così tanto. Non è perciò dimostrazione di indifferenza o insofferenza, ma di troppo amore. Ho messo in Carola tutto il mio dolore e il mio amore verso mio papà. Spero di esserci riuscita.

C’è un film o serie tv, sia italiana che straniera, che ha particolarmente ispirato il tuo lavoro in questi anni?

La prima serie che mi viene in mente è Omicidio a Easttown, non tanto per la serie in sé, ma per Lei. Kate Winstlet è da sempre una fonte di ispirazione per me. Il suo essere fuori dai circuiti glamour, fuori dagli orrendi canoni estetici hollywoodiani, la sua capacità di invecchiare con fierezza e di mostrarsi sempre senza vergogna, i suoi occhi profondi, infiniti. Ah! Che goduria guardarla. E vogliamo parlare di quello che ha fatto in The Reader? Vabbè, mi taccio sennò potrei parlare di Lei all’infinito!

Francesca Valtorta. Total Look: Dixie Roma

«[…] Siamo contemporaneamente uno per noi, centomila per gli altri, forse non siamo nessuno, siamo solo delle maschere»

Sei attualmente in tournée con Uno nessuno centomila regia di Nicasio Anzelmo. Cosa provi nel salire ogni volta su un palcoscenico, e cosa invece ti ha colpito di questo capolavoro?

È un onore e una sfida portare in scena l’ultimo romanzo di Pirandello, il suo testamento letterario, quello che racchiude in sé tutta la sua poetica sull’essere umano. Il suo romanzo più complesso ma anche quello più universale. Chi siamo noi? Quello che pensiamo di essere? Quello che pensano e vedono gli altri di noi? Siamo contemporaneamente uno per noi, centomila per gli altri, forse non siamo nessuno, siamo solo delle maschere. È incredibile come queste riflessioni risuonino tremendamente attuali oggi, nel mondo in cui, più di ogni altra epoca, regna sovrana la finzione e l’apparenza.

È stata una sfida difficile ma bellissima, grazie ai miei compagni di viaggio (Primo Reggiani, Jane Alexander, Fabrizio Bordignon e Enrico Ottaviano) con i quali abbiamo creato un legame solido, fatto di rispetto e solidarietà. Ecco, per riprendere quello che dicevo prima sull’importanza dei rapporti umani in questo lavoro. Torneremo in scena questa estate e la prossima stagione in tantissimi teatri! Vi aspettiamo!

Il 17 aprile uscirà 30 notti con il mio ex, un film che esplora il tema delle dinamiche familiari in cui passato e presente si intrecciano inesorabilmente. Che personaggio interpreti e come ti sei preparata al ruolo?

In questo bellissimo film pieno di grazia, io interpreto Camilla. Una donna con la testa sulle spalle, fidanzata di Bruno (Edoardo Leo), con il quale vorrebbe costruire una storia più solida. I suoi piani saranno però messi a dura prova dal ritorno turbolento di Terry, ex di Bruno, donna fuori dagli schemi che sconvolgerà gli equilibri di tutti. Guido Chiesa con questo film è riuscito magistralmente a muoversi lungo il precario crinale che separa commedia e dramma, riuscendo a farci ridere, commuovere e riflettere.

Francesca Valtorta. Total Look: Poupine

«[…] Io credo che sia FONDAMENTALE che il cinema affronti la temutissima tematica della malattia mentale. In molti, ancora oggi, rifuggono tutto ciò che la riguarda»

A livello di trama, la figura di Terry risulta centrale per affrontare la tematica della malattia mentale e del recupero attraverso la terapia. Quale pensi sia il ruolo del cinema nel raccontare queste storie di vita reali? 

Prima dicevo che Terry è fuori dagli schemi. Lo è perché è una donna piena di vita e di energia, ma anche perché soffre di un disturbo mentale che le fa “sentire le voci” (disturbo molto complesso di cui non si conosce ancora bene la natura) a causa del quale ha seguito un lungo percorso di terapia che l’ha allontanata da casa. Io credo che sia FONDAMENTALE che il cinema affronti la temutissima tematica della malattia mentale. In molti, ancora oggi, rifuggono tutto ciò che la riguarda, hanno ancora in mente i manicomi e gli stereotipi del “pazzo”, alcuni pensano addirittura che andare dall’analista sia sintomo di debolezza. Insomma il pudore e la vergogna sono imperanti, fanno danni inimmaginabili e chi dovrebbe rivolgersi a uno specialista troppo spesso non lo fa.

Io quando dico tranquillamente che sono in analisi da anni e che durante alcuni periodi complessi della mia vita ho assunto psicofarmaci, vengo guardata come una marziana. Ma scusate quando si ha la febbre non si prende la Tachipirina? La malattia mentale deve essere trattata allo stesso modo, prendendola seriamente, curandola ma soprattutto normalizzandola. E in questo processo di normalizzazione, il cinema può e deve avere un ruolo molto importante. Questo film, grazie anche alla spensieratezza e alla delicatezza con cui tratta la tematica, fa un lavoro bellissimo.

Vorresti condividere qualche tuo progetto futuro? 

Come accennavo prima. riprenderemo la tournée con Uno nessuno e centomila e ne sono felicissima. E poi sono attualmente sul set di una nuova serie, intitolata Una Nuova vita, con un ruolo per me decisamente insolito! Non posso però ancora dire altro!

Credits

Photographer Gioele Vettraino