Francesco Puppini, dai successi della critica al cortometraggio Tutti Uccidono

Il regista e sceneggiatore si racconta condividendo il percorso che lo ha portato dall'esperienza formativa a Leeds fino al successo al Rome Independent Film Festival con il suo ultimo lavoro

Francesco Puppini si racconta, condividendo il percorso che lo ha portato dall’esperienza formativa a Leeds fino al successo al Rome Independent Film Festival con il cortometraggio Tutti Uccidono.

Nato e cresciuto a Milano, Puppini, regista e sceneggiatore, sceglie di affinare il suo talento alla prestigiosa Northern Film School di Leeds, in Inghilterra. «[…] Ero a un passo dall’entrare in una scuola di cinema a Milano, ma non è andata. Quell’anno di riflessione mi ha portato a considerare l’opportunità di un’esperienza all’estero, e si è rivelata una scelta vincente», racconta Francesco.

Gli anni a Leeds sono per lui un periodo di intensa crescita artistica e professionale. Qui sperimenta generi diversi, realizzando numerosi cortometraggi che spaziano dal documentario (Welcome to the Show) al film sperimentale (Some Body), fino alla fiction (Show HomeEmerging e Virginia). «[…] Contribuire alla ricerca artistica di un paese straniero è un’esperienza che può segnare profondamente la vita di un artista», riflette, ricordando l’energia creativa e la calorosa accoglienza dell’Inghilterra. Tra i riconoscimenti spicca quello per la sceneggiatura di Tutti Uccidono, premiata al Shorts Pitching Training 2020 e presentata al New Arrivals: Go Short Campus.

Ma il cinema è solo una delle sfaccettature della carriera di Puppini. Negli anni, il suo interesse per il teatro si consolida: collabora con Carmelo Rifici come videomaker al LAC di Lugano, partecipa alla Biennale Musica 2020 e firma sceneggiature come Evocazione e Two Strangers, quest’ultima letta al Cenacolo del Monte Verità durante il festival Eventi Letterari di Ascona. Nel 2023, si distingue anche in una scrittura dal vivo presso La Straordinaria – Tour Vagabonde di Lugano e al Territori Festival di Bellinzona.

A coronare queste esperienze, Puppini partecipa a un corso avanzato di regia cinematografica condotto da Marco Bellocchio e viene selezionato nel 2024 per il workshop diretto da Tim Crouch alla Biennale College Teatro, a conferma di un percorso artistico in continua evoluzione.

Francesco Puppini, registra e sceneggiatore
Francesco Puppini, registra e sceneggiatore

«Girare un film è come respirare a pieni polmoni. Il respiro ha un suo ritmo naturale e va rispettato»

Ti sei laureato alla Northern Film School. Perché hai scelto di studiare all’estero? Lo consiglieresti a chi, proprio come te, vorrebbe trovare il proprio spazio nel mondo del cinema?

Nel 2014 sono arrivato a un passo dall’essere preso a una scuola di cinema di Milano, ma poi non è andata. Per un anno mi sono trovato a riflettere su quello che potevo fare, ho anche pensato di iscrivermi al CSC a Roma, ma in quel momento non avevo ancora abbastanza esperienza e ho rimandato la decisione. Così è passato un anno durante il quale ho lavorato come cameriere in un ristorante di Milano. Quell’esperienza è stata formativa, ma non era quello che volevo fare. Ho parlato con la mia famiglia e sono giunto alla conclusione che un’esperienza all’estero poteva essere un ottimo percorso. Avevo in mente l’Inghilterra perché molti dei film e delle serie televisive che guardavo da ragazzo, e che in qualche modo hanno contribuito a costruire il mio immaginario, erano inglesi. Ho cercato tra varie scuole di cinema, ne ho individuate tre, che potevano fare al caso mio, e tra queste c’era la Northern Film School a Leeds. Quando mi chiedono se è utile studiare all’estero io rispondo sempre di sì. É un vero privilegio. Contribuire alla ricerca artistica di un paese straniero può essere un passaggio fondamentale per la vita di un regista, e di un artista più in generale. Lì ho imparato molte cose, ma quello che mi ha colpito di più è la loro magnifica e accogliente spontaneità. A scuola mi hanno insegnato anche l’umiltà, la perseveranza e il lavoro di squadra. Il resto nasce da sé. Spero di riuscire a tornare a lavorare là prima o poi.

La tua formazione professionale è ricca di incontri e di Paesi. Quali sono le principali differenze che hai riscontrato nell’approccio al mondo del cinema e del teatro?

Mi sono formato in Inghilterra e ho girato vari cortometraggi, sperimentando diversi generi: documentario (Welcome to the Show), film sperimentale (Some Body), fiction (Show HomeEmergingVirginia). L’approccio registico è sempre stato molto creativo. Il metodo di lavoro della mia scuola di cinema si basava sulla collaborazione. Per ogni film ci trovavamo in gruppo e facevamo lunghe riunioni, seguendo vari step da me indicati. L’approccio cambiava a seconda del genere di film. I capi dipartimento erano quindi coinvolti in partenza e ricevevano una conoscenza approfondita dei temi, le tecniche di ripresa, di registrazione del suono, delle musiche e di montaggio. Spesso lavoravamo con uno storyboard da me disegnato. Questi input sarebbero poi serviti per realizzare il film. Io ho condiviso quello che avevo appreso grazie alla mia esperienza da autodidatta a Milano e dalle lezioni con i tutor di regia e sceneggiatura, con la differenza che in questo caso potevo contare sulle molte risorse offerte dalla scuola. Avevamo ottime sale di montaggio e studi di ripresa dove potevamo provare le inquadrature e realizzare dei teaser che ci servivano per i pitch. Questa esperienza poi è confluita ovviamente nel lavoro che ho fatto qui in Italia per il mio nuovo cortometraggio Tutti Uccidono. Per quanto riguarda il teatro, la mia formazione è avvenuta soprattutto in Svizzera. Prima ho lavorato al LAC di Lugano come videomaker per Carmelo Rifici e ho partecipato alla Biennale Musica 2020. Successivamente, grazie al bando di Luminanza, programma di scrittura teatrale per aspiranti drammaturghi svizzeri, ho acquisito un metodo di scrittura per me del tutto nuovo perché basato sulla parola. Più che sulla regia, quindi nel teatro, mi sono formato come drammaturgo e, grazie alle lezioni con autori di fama internazionali, ho capito quali erano i temi e le storie che volevo raccontare. Diversamente dall’approccio cinematografico collaborativo, qui la creazione è stata molto più solitaria, anche perché eravamo in pieno Covid. Ho sviluppato un’idea per un testo ancora inedita, si chiama Evocazione, disponibile online sul sito di Luminanza. Il testo è stato letto in vari centri culturali della Svizzera italiana.

Tutti Uccidono, Francesco Patanè
Tutti Uccidono, Francesco Patanè

«Uccidono riguarda l’atto violento di voler prevaricare su qualcun altro. Non riguarda solo la violenza fisica, ma anche la libertà di parola e di espressione che in alcuni casi ci viene tolta»

Sei stato selezionato per partecipare a un workshop diretto da Tim Crouch alla Biennale College Teatro. Parlaci di questa esperienza e delle tue sensazioni al momento della selezione.

Nel 2024, mi sono iscritto al workshop con Tim e ho incrociato le dita. Quando ho saputo che mi avevano selezionato, mi ricordo, ero seduto e non ci volevo credere. La mia prima reazione è stata quella di dirlo subito alla mia famiglia e di condividere la notizia con tutti. L’ho detto anche alla mia casa di produzione, dispàrte, che ha un occhio di riguardo verso i giovani artisti come me. Il workshop è stato bellissimo. Crouch è una persona speciale, ha voluto raccontarci tutti i suoi testi. Abbiamo passato cinque giorni a parlare degli spettacoli che avevamo visto alla Biennale in maniera del tutto informale e sincera. Abbiamo anche improvvisato alcuni esercizi teatrali basandoci sui suoi scritti e infine, attraverso un brainstorming, abbiamo messo giù un’idea per un nuovo testo. I miei compagni erano tutti stupendi, ora resta un rapporto speciale che ancora oggi prosegue.

Tutti Uccidono. Perché hai scelto un titolo così forte? E soprattutto, perché proprio “Tutti”?

Il titolo nasce da una riflessione sul tema della comunità. Quando Giacomo arriva nel suo paese si trova a dover affrontare scetticismo, diffidenza e intolleranza. Questi sentimenti spesso sono quelli che portano una comunità ad allontanare un proprio membro considerato diverso, per via del suo orientamento sessuale o per altre scelte personali. Quindi volevo raccontare una storia che ritraesse una intera comunità (Tutti) che decide di allontanare uno dei suoi membri. Uccidono invece riguarda l’atto violento di voler prevaricare su qualcun altro. Non riguarda solo la violenza fisica, ma anche la libertà di parola e di espressione che in alcuni casi ci viene tolta.

Tutti Uccidono, Maria Caggianelli Villani e Francesco Patanè
Tutti Uccidono, Maria Caggianelli Villani e Francesco Patanè

Il girato è ambientato all’interno di un piccolo paesino di montagna, un luogo quasi isolato dal resto del mondo. Perché hai fatto questa scelta? Esiste forse un legame che unisce Giacomo alla montagna?

La montagna ha sempre avuto un grandissimo valore per me. Da bambino ci andavo e torno sempre con grande piacere. La scelta nasce da uno stimolo sempre legato al concetto di comunità. Riuscire ad ambientare la storia in un piccolo paese piuttosto che in una metropoli, mi ha permesso di avere più controllo. Per dire, girare a Milano sarebbe stato quasi impossibile, le condizioni non lo permettono, c’è troppo traffico, troppo rumore. In questo caso, il silenzio per me è stata una prerogativa indispensabile per girare il film. Girare in luoghi silenziosi mi intriga molto di più, piuttosto che raccontare una storia al centro del mondo. Anche il mio approccio registico non è mai urlato. Non amo strillare sul set, preferisco che le cose prendano forma da sé e crescano naturalmente. Fare un film è un mestiere organico: agitazione e stress non devono prendere il controllo del percorso creativo, altrimenti il film e la squadra ne patiscono. Girare un film è come respirare a pieni polmoni. Il respiro ha un suo ritmo naturale e va rispettato.

Giacomo, torna nel suo villaggio dall’Inghilterra, in particolare da Leeds. Non riconosce più il mondo dove è nato. Si ricorda i luoghi ma è tutto diverso, lontano. Cerca di riavvicinarsi a questa realtà e ritrovare un legame con la sua comunità di origine. Allontanarsi da un mondo così isolato e riprendere contatto con una parte più misteriosa della propria vita, a volte può essere scioccante, quando ormai si è abituati al caos e alla confusione della città. La città però è anche apertura, è un mondo cosmopolita che sicuramente non corrisponde allo stato d’animo più interiorizzato, pacato, dei piccoli paesi di provincia. Ovviamente la montagna non è solo questo. Questa è la chiave di lettura che ho voluto dare al racconto: spesso abbiamo bisogno di scappare dal ritmo cittadino e rifugiarci lontano per riacquisire il contatto con noi stessi.

Tutti Uccidono, Jean Paul Dal Monte e Francesco Patanè
Tutti Uccidono, Jean Paul Dal Monte e Francesco Patanè

«Le relazioni familiari sono sempre al centro dei miei corti. Parlare di famiglia per me è importantissimo perché è da lì che nasce tutto»

Hai deciso di approfondire il tema delle relazioni familiari. Spiegaci meglio il perché di questa scelta.

Le relazioni familiari sono sempre al centro dei miei corti. Parlare di famiglia per me è importantissimo perché è da lì che nasce tutto. Quando diventiamo adulti ci allontaniamo dai nostri cari, e dunque è giusto capire come bilanciare nuovamente il rapporto che abbiamo con i nostri genitori (nel corto interpretati da Bobo Pernettaz e Giovanna Villani) per andare avanti e farci strada da soli senza quello che è stato il loro preziosissimo, a volte sofferto, sostegno.

Tutti Uccidono, Bobo Pernettaz e Francesco Patanè
Tutti Uccidono, Bobo Pernettaz, Francesco Patanè e Giovanna Villani

La violenza fisica e la morte sono due delle tematiche affrontate. Qual è stata la tua fonte di ispirazione?

Sono temi che fanno paura. Non ho avuto una fonte di ispirazione precisa, in realtà per me il tema dell’omicidio qui era un escamotage per parlare d’altro. Non ho voluto indirizzare le mie energie su quello, quanto più sui rapporti umani che scaturiscono in seguito ad azioni violente. Il mio corto in un certo senso è un post factum. Come pubblico, non ci interessa sapere chi è il colpevole, lo sappiamo già, non ci interessa neanche sapere la dinamica dell’incidente, la conosciamo già. Mi interessava di più vedere come i personaggi potevano interagire tra di loro in seguito a questo evento tragico, da qui il forte legame con il dolore provocato dalla morte. Giacomo è un po’ come Alice che cade nel buco del Bianconiglio, cerca una via d’uscita da quel villaggio, però vuole capire cosa è successo a suo fratello. Incontrerà vari personaggi che apparentemente lo aiuteranno a trovare risposte, ma queste ultime presto gli si riverseranno contro in maniera violenta. Un’altra fonte di ispirazione è stata l’Odissea, Ulisse torna a casa e deve combattere contro i Proci per riunirsi a Penelope. Solo che in questa storia Penelope non c’è, al suo posto c’è il dolore per la morte del fratello, da cui Giacomo si vuole liberare.

Tutti Uccidono, scena del cortometraggio
Tutti Uccidono, scena del cortometraggio

Nel cortometraggio, un tragico evento sancisce l’inizio della narrazione. La morte però non è solo quella fisica, ma è anche quella della ragione. I tuoi personaggi, infatti, non sembrano capaci di ascoltare e ascoltarsi. Da cosa è causata questa difficoltà nel comunicare?

La difficoltà nel comunicare è tutto quello che non si vede nel film. Per arrivare al non detto, al sottotesto del cortometraggio, ho dovuto costruire a fondo le storie di ciascun personaggio, cioè come sono arrivati nel villaggio, che ruolo hanno avuto nella comunità, e come si sono confrontati tra di loro rispetto alla tragica vicenda. Giacomo, per esempio, torna a casa, ma non sappiamo quanto tempo è stato via e cosa abbia fatto nel tempo in cui era in Inghilterra, perché la distanza geografica e fisica gli hanno impedito di mantenere un rapporto solido con la gente del paese d’origine. Se fosse stato per lui, non sarebbe mai più ritornato. Nel villaggio si manifesta una sorta di sentimento di repulsione nei confronti di Giacomo, nessuno riesce ad affrontarlo razionalmente, cercando di ascoltare il ragazzo. Voglio dire che gli eventi esterni che crediamo fuori dal nostro controllo, in realtà hanno un’enorme influenza sul nostro quotidiano. Li subiamo e a volte ci costano caro. Bisogna invece imparare ad affrontarli e avere il pieno controllo delle proprie azioni e scelte e lasciare che la bellezza, il magnifico e lo splendore entrino nelle nostre vite, sostituendoli al caos e alla confusione. Il caos, a un certo punto, va domato.

Tutti Uccidono, Lidia Vitale nei panni di Ada
Tutti Uccidono, Lidia Vitale nei panni di Ada

Il protagonista ritorna nei luoghi d’infanzia, dove tutto sembra essere cambiato in sua assenza. Che rapporto ha Giacomo con il tempo che passa? E con i ricordi invece?

Tutto è cambiato, sì. Le persone sono cambiate, la montagna è cambiata. I ricordi per me sono importanti nel raccontare le storie. Con Francesco Patanè (Giacomo) abbiamo cercato il più possibile di attingere alla nostra memoria emotiva per far uscire allo scoperto il personaggio. La memoria e il ricordo non sono solo uno strumento narrativo interno alla storia, ma sono anche uno strumento per cercare i personaggi sia in fase di scrittura che in fase di studio con gli attori. Giacomo ha un rapporto difficile con il tempo che passa, non sa come affrontare un evento violento. Quando questo si verifica va a scontrarsi duramente con la realtà che lo circonda. Giacomo è un uomo di fantasia, vive attraverso i ricordi, i sogni, la musica, la poesia. Il mondo astratto, quello del pensiero, lo affascina di più.