My Son, il cuore sacro del Vietnam 

Un luogo sacro, sospeso tra pietra e spirito, dove il tempo si è fermato ma l’anima ancora vibra. I templi raccontano l’anima perduta del Regno Champa, mentre il sito dal 1999 è Patrimonio dell’Umanità UNESCO

C’è un’ora, in Vietnam, in cui il sole si abbassa dietro le montagne e la giungla si fa silenziosa. È in quel momento, al tramonto, che il Santuario di My Son si rivela per ciò che è sempre stato: un luogo sacro, sospeso tra pietra e spirito, dove il tempo si è fermato ma l’anima ancora vibra.

A poco più di 35 chilometri da Hoi An e a 50 da Da Nang, in una valle nascosta e protetta dalla vegetazione lussureggiante, si trova uno dei siti archeologici più affascinanti del Sud-est asiatico: i templi di My Son, conosciuti anche come “l’Angkor del Vietnam”. Fondata nel IV secolo, questa cittadella religiosa fu il cuore spirituale del Regno di Champa, un’antica civiltà profondamente influenzata dalla cultura e dalla religione indiana. Qui, i sovrani Cham eressero decine di templi per onorare Shiva, il distruttore e il rigeneratore, divinità suprema del pantheon induista. I primi santuari erano in legno, ma un incendio devastante nel VI secolo costrinse la civiltà Cham a ricostruirli. Fu così che nacquero, con straordinaria maestria, i templi in mattoni rossi che oggi si possono ammirare: opere d’arte dalla struttura ancora enigmatica per gli archeologi, costruite con tecniche che la scienza moderna non riesce del tutto a spiegare.

My Son Vietnam 
My Son, Vietnam 

I mattoni non sono tenuti insieme da alcun legante visibile. Nessuna malta, nessun cemento. Eppure, da secoli, resistono alla pioggia, al vento, alla guerra. Alcuni dei bassorilievi scolpiti nella pietra arenaria narrano storie della mitologia induista: danze divine, battaglie cosmiche, dèi e dee che sembrano respirare ancora, protetti dal silenzio della giungla. Passeggiare tra queste rovine è un’esperienza mistica. Ogni tempio, ogni torre, ogni altare sembra appartenere a un altro mondo. Alcuni edifici sono ancora intatti, altri sono stati feriti dalle bombe durante la guerra del Vietnam, ma anche le loro ferite raccontano. Perché My Son non è solo archeologia: è memoria, identità, spiritualità.

My Son Vietnam 
My Son, Vietnam 

Dal 1999 è Patrimonio dell’Umanità UNESCO, un riconoscimento che ha restituito dignità a questo luogo e ne ha garantito la protezione. Ma il vero incanto arriva quando si assiste alla danza tradizionale Champa: una celebrazione del corpo, della fede e del ricordo, che si svolge tra le pietre antiche con grazia ipnotica. Le danzatrici, vestite con abiti bianchi e arancio, sembrano incarnare le divinità scolpite tra le mura. È un momento che commuove, che connette, che resta.

E poi, come in ogni viaggio vietnamita, arriva il tempo della condivisione. Una casa tradizionale ci accoglie con un pasto tipico, semplice e sontuoso al tempo stesso: involtini di riso, verdure freschissime, tofu croccante, zuppe leggere ma intense. Il sapore della storia si mescola a quello della terra.

My Son non è solo una meta turistica. È un luogo dell’anima. Un viaggio dentro la spiritualità e l’orgoglio di un popolo. Un luogo dove si entra in silenzio e si esce cambiati. Per vivere questa esperienza è possibile consultare il sito Civitatis, prenotando l’escursione ai templi.